Maria e i malati di mente

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Anche duemila anni or sono esistevano le malattie mentali, benché non fossero conosciute e classificate secondo il moderno linguaggio clinico-scientifico ma secondo categorie, se si vuole, più generiche e ricavate dal linguaggio religioso: i vangeli ce le presentano come “possessione del demonio”, come “epilessia”, e comunque come stati di alterazione mentale grave e pericolosa per sé e per gli altri oltre che come incapacità di interagire correttamente con il mondo reale. Inutile sarebbe qui citare i numerosi luoghi evangelici in cui ricorre la figura del malato mentale, del folle, del “diverso” che viene tenuto ai margini della società per il timore che generalmente incute, perché li si può facilmente reperire su qualunque sito in cui ci si occupi di questa problematica in relazione alle narrazioni evangeliche e nel contesto della società antica ed ebraica.

Quel che invece va sottolineato è che Gesù si occupava non solo dei malati normali ma anche e, per certi aspetti, soprattutto dei malati mentali che, tra i poveri, erano i più poveri in quanto privi persino della volontà di intendere e di volere o di rapportarsi ai propri simili in modo adeguato. Com’è noto, dove maggiore è la sofferenza, maggiore è anche la presenza di Dio e, non essendovi al mondo chi potesse e possa soffrire più di questa categoria di persone, Gesù aveva e continua ad avere una particolare predilezione per coloro che, ancor più che “poveri di spirito”, erano proprio dei senza spirito o menomati nello spirito e nell’anima, tanto da essere perennemente in balía delle forze demoniache del male e da non potere instaurare un rapporto realmente pieno e consapevole con Dio.

Questa particolare predilezione per i disturbati mentali, per i folli, era dovuta certo alla natura divina del suo cuore misericordioso ma anche al fatto che egli stesso sarebbe stato trattato come un “pazzo”, come un individuo capace di abbandonare la madre vedova per andare a raccontare in giro delle frottole, tra cui quella veramente clamorosa e inquietante di dichiararsi figlio di Dio! Gesù avrebbe sperimentato personalmente la condizione di totale e dolorosa solitudine in cui i malati di mente sono costretti a vivere, e questa esperienza lo avrebbe portato ad entrare empaticamente in una comunione particolarmente sofferta e intensa con essi.

Maria aveva avuto sempre paura che il Figlio, prima o poi, potesse essere oggetto di pubblico ed emarginante disprezzo e potesse essere trattato come un povero pazzo: in fondo era colei che aveva parlato con l’angelo di Dio, era colei a cui era stato preannunciato una maternità divina, era colei che avrebbe dovuto generare un figlio non per opera umana ma per opera dello Spirito Santo, colei cioè che, già prima del figlio, non poteva non essere guardata con sospetto e non rischiare di essere considerata come una matta, un’invasata, un’indemoniata. Ma se, in lei come in Gesù, il pur grande dolore connesso alla consapevolezza di essere esposti, sia pure in modi diversi, ad un destino di angosciosa solitudine, poteva essere mitigato in qualche modo dalla consapevolezza altrettanto lucida di essere abitati dalla misteriosa ma concreta e amorevole presenza dello Spirito divino, il loro sentimento di pietosa e tenera vicinanza ai disabili mentali doveva essere verosimilmente ancor più affliggente perché derivante dalla precisa conoscenza dello stato di profonda alienazione in cui quest’ultimi, spesso in modo irreversibile, erano condannati a vivere: uno stato in cui la persona finisce, spesso suo malgrado, non solo per essere sempre “altro” rispetto ai suoi più veri e profondi bisogni (che può essere un aspetto comune a molti esseri umani) ma anche per esser soggetta ad una graduale distorsione delle sue facoltà mentali, morali e spirituali, sino ad un parziale o totale annullamento della sua stessa dignità.

Gesù poteva essere trattato come un pazzo perché diceva di essere il Figlio di Dio e, come si sa, la gente, generalmente, è portata a credere in Dio più in quanto entità remota e astratta che non in quanto persona reale che si presenti alle sue creature per quel che effettivamente è. Ovvero la gente è portata a credere in Dio più a parole, più in senso simbolico, che nei fatti e in termini di possibile percezione sensoriale di esso: quando si trova al cospetto fisico di Dio stesso o di qualche creatura a lui particolarmente vicina nonostante le sue umane debolezze, la gente comincia a invidiare, a calunniare, a diffamare, a perseguitare e, talvolta, a crocifiggere! Gesù si doleva moltissimo di questo, ma sapeva perché questo accadesse; e per Maria vale lo stesso discorso. Entrambi ne soffrivano terribilmente ma erano pur sempre i prediletti di Dio, coloro cui era stato affidato il compito di salvare, nella sofferenza, il genere umano dalla morte, laddove invece essi percepivano nei malati mentali, ancor più che nei malati normali, una sofferenza spesso muta ma straziante e assolutamente priva di qualsiasi motivazione spirituale e religiosa, di una sia pur minima “gratificazione” etico-esistenziale.

La gente diceva di Gesù: “è fuori di sé”, è impazzito, è un esaltato, un dissacratore della vera religiosità, un perturbatore della vita tranquilla nei villaggi della Galilea. E Maria, che era compatita in modo altrettanto malizioso come la ragazza-madre di quello sventurato che l’aveva lasciata sola dopo la morte di Giuseppe, si precipita con i suoi familiari da lui, per evitare che, a causa di quella nomèa, potesse capitargli qualcosa di irreparabile e anche per evitare che i suoi stessi familiari potessero essere coinvolti nelle stesse accuse beffarde che venivano rivolte al Figlio.

Maria si sentiva morire, già prima di vedere Gesù inchiodato su una croce, al pensiero che suo figlio, che era il Figlio unigenito di Dio e Dio egli stesso, potesse essere commiserato e disprezzato come un pazzo, perché sapeva bene che i pazzi esprimono patologicamente la negazione di ogni possibile umanità, l’impossibilità di qualsivoglia forma di interesse per la verità universale delle cose e infine la radicale incapacità di porsi in cosciente comunione con gli altri e con Dio stesso, quindi tutto il contrario di quello che il Salvatore era venuto a testimoniare sulla terra. Ma Maria avrebbe presto compreso che, proprio per tutto questo, i malati di mente sono gli ultimi degli ultimi, quelli che, secondo la lezione del Figlio suo benedetto, avrebbero impersonato in assoluto il prossimo più bisognoso d’amore, di cura, di preghiera. Gesù aveva guarito malati di ogni genere ma non vi è dubbio che, tra i malati guariti e salvati, molti erano stati quelli affetti, si direbbe oggi, da patologie psichiatriche.

E Maria, oggi, dall’alto dei cieli, segue con particolare apprensione le giornate terrene di tutti coloro che hanno disturbi mentali più o meno gravi o sono addirittura annientati dalla follia: incessanti e frenetiche sono le sue suppliche al Signore affinché liberi queste sue creature dai terribili mali che ne alterano gravemente l’esistenza terrena, la facoltà di giudizio e di scelta, e persino la possibilità di relazionarsi a lui in piena consapevolezza. Dopo duemila anni circa dalla morte e risurrezione di Cristo, questi “rottami” dell’umanità sono ben lungi dall’essere al centro delle attività caritative della comunità cristiana. Chi potrebbe negare che persino i sacerdoti, i vescovi e i parroci, dedichino molto più tempo ai malati normali, a malati terminali, a paralitici, a persone ormai dementi, che non ai ben più impegnativi malati mentali?

Certo, non si può pretendere che tutti siano preparati a prendersi cura dei malati di mente, ma non si può non ricordare che Gesù, proprio riferendosi a questa categoria di malati, rispose una volta ai suoi discepoli: “Questa razza di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (Mc 9, 29). La preghiera! Invece molto spesso succede che questi malati diano talmente fastidio, ai presbiteri, ai familiari, ai conoscenti, alla gente comune, anche se non c’è nessuno al mondo che sia immune da preoccupazioni e pesi più o meno gravosi,  da inibire nella quasi generalità dei casi persino la disponibilità a pregare sinceramente per chi versi senza dubbio in una condizione di povertà e solitudine assolute cui solo il Signore potrà porre rimedio in modi e  tempi rispondenti alla sua volontà.

Maria, invece, è sempre vicina ai suoi figli più tormentati, prega incessantemente per loro, prega incessantemente anche per noi affinché troviamo la forza di occuparci non per dovere ma per convinzione e con amore gratuito di quei fratelli e quelle sorelle che, nella loro incapacità di badare a se stessi, sono espressione vivente della sofferenza e dell’impotenza chenotiche di nostro Signore Gesù.