Il sale e il fuoco

Scritto da Francesco di Maria.

 

La misericordia di Dio va a chi, anche senza una perfetta consapevolezza evangelica, si sforza di obbedire ai suoi comandi; a chi, ponendosi seriamente il problema del senso della propria vita, non resti indifferente alla necessità di cambiare, di correggere, di riorientare costantemente, pur tra fragilità e contraddizioni di vario genere, la rotta della propria esistenza. Il Dio evangelico è un Dio tanto misericordioso quanto esigente, tanto mite e magnanimo quanto severo e intransigente. Gesù lo dice chiaramente e senza giri di parole: aspirate a far parte del Regno di Dio? E allora eliminate il più radicalmente possibile tutto ciò che vi allontana dal Vangelo.

La vita eterna, promessa da Cristo, è una cosa enorme, qualcosa cui può capitare di non dare l’importanza dovuta solo se la nostra fede nelle promesse di Cristo non è sufficientemente forte e spiritualmente radicata, ma essendo tuttavia essa un dono straordinario e insperabile, egli può ben chiederci altrettanta radicalità nel desiderio di ottenerlo attraverso una condotta di vita non già perfetta e tuttavia sinceramente volta ad un’adesione quanto più possibile piena e rigorosa agli insegnamenti non travisati del Vangelo.

Non si tratta di essere eccessivamente “rigoristi” verso se stessi, perché talune estreme forme di rigorismo generano inevitabilmente autolesionismo e disperazione, ma certo si tratta di accogliere il Vangelo in modo incondizionato, senza mezze misure, senza giochi o annacquamenti sofistico-ermeneutici che tendano a giustificare o almeno a tollerare un rapporto di compromesso tra noi e il mondo, tra la nostra anima e lo spirito pagano del mondo. Si può sempre peccare, cadere, infrangere questo o quel precetto evangelico; ma il problema è di saper e voler riconoscere ogni volta la reale entità delle nostre cadute, senza ricorrere a scuse, a giustificazioni più o meno labili e pur sempre riconducibili ad una  incapacità soggettiva e talvolta anche collettiva di pentirsi realmente e di confidare in una misericordia divina che non sia, come non può essere, né scontata né automatica.

Il Signore ci dice di tagliare una mano che è strumento e simbolo dell’azione e del lavoro, un piede che è strumento e simbolo del camminare e del nostro modo di comportarci, e di cavare un occhio che è strumento e simbolo del vedere e del modo di guardare e considerare le cose del mondo. Come dire: se fai un lavoro o sei dedito a una qualche attività lavorativa illecita oppure tale che, nei modi e nelle misure in cui venga esercitata, ti faccia perdere la fede o ti induca ad allontanarti da essa, taglia quel lavoro o quell’attività che magari ti stanno procurando tanti vantaggi economici o sociali o di altra natura, eliminali oppure riducili, pur di coltivare rettamente la tua fede e di vivere degnamente in conformità ai precetti evangelici. E cosí se tu vedi che il tuo cammino, la tua condotta di vita, sono moralmente e spiritualmente incerti o sbagliati, per quanto possano essere considerati umanamente socialmente o religiosamente onorevoli e prestigiosi, non esitare a privartene o almeno ad indirizzarli verso prospettive di vita più consone e vicine al Vangelo. E, infine, anche l’occhio, il proprio modo di vedere, se è troppo incline a privilegiare pensieri, piaceri e atteggiamenti di questo mondo rispetto al sentire evangelico e alle bellezze celesti, va cavato ovvero va assolutamente ridimensionato, depotenziato, magari incrementando la propria attività di preghiera e riorientando il nostro sguardo sensoriale e spirituale verso aspetti meno appariscenti ma ben più significativi della pur complessa realtà terrena e storica in cui viviamo.

E’ bene che gli scandali del mondo vengano alla luce; ma, avverte il Signore, guai a chi, ormai incapace di rendere sapido, significativo, il suo modo di pensare, di essere e di fare, dà scandalo ai “piccoli”, ovvero ai semplici, in generale a coloro che hanno aperto e aprono il cuore a Gesù e ai suoi insegnamenti in modo genuino, disinteressato e fiducioso. Non è un avvertimento che si rivolga ad infime minoranze di persone; al contrario, sono molti coloro ai quali esso è diretto, cosí come sono molteplici le possibilità di fare un cattivo uso delle proprie mani (l’agire in senso lato, la propria funzione economica, sociale, politica o religiosa), dei propri piedi (i modi e le strade del camminare), dei propri occhi (i modi di guardare il mondo, di valutare cose e pratiche del mondo).

Gesù non intende essere autoritario e oppressivo verso le sue creature ma, ben conoscendone la fragilità e i limiti anche in termini di capacità di ascolto e di comprensione, esercita la sua funzione salvifica con grande energia e determinazione, in modo che a nessuna delle sue creature sia possibile trovare scuse o alibi in caso di sistematica e deliberata trasgressione dei valori evangelici o di persistente elusione dei propri compiti o dei propri doveri cristiani. E, naturalmente, i primi cui si rivolge sono proprio i suoi discepoli, i suoi seguaci che, non semplicemente perché discepoli e seguaci, sono al riparo da ogni pericolo di inadempienza e di condanna.

Quanto più in alto, più influente e più nota, è la persona, tanto più estesi e rovinosi saranno eventualmente gli effetti della sua parola o azione di scandalo. Lo scandalo non occasionale o non apparente di un papa potrebbe distruggere o indebolire molto la Chiesa. Lo scandalo di un vescovo o di un parroco può annientare o screditare pesantemente una diocesi o una parrocchia. Ma poi, naturalmente, anche un padre o una madre dal comportamento obiettivamente riprovevole può danneggiare spesso in modo irreparabile una famiglia, e chiunque abbia responsabilità di un certo rilievo in seno allo Stato o alla società o alla Chiesa può infliggere ferite morali difficilmente rimarginabili ad un numero più o meno grandi di persone.

Per non parlare di quella sciatta e decadente mentalità a sfondo equivocamente umanitario secondo la quale bisognerebbe essere comprensivi verso quei coniugi che, non andando più d’accordo e intralciandosi vicendevolmente, cerchino conforto e nuove relazioni sentimentali e amorose al di fuori del matrimonio! Quando scelte di questo tipo, dimentiche del valore salvifico della rinuncia e del sacrificio, non sono semplicemente occasionali o del tutto casuali, né tendono mai a diventare oggetto di vero pentimento, ma tendenze irreversibili e sistematiche,  esse possono forse risultare finalizzate ad un qualche conforto terreno ma non certo a quel perenne conforto celeste che il Signore ha promesso a coloro che ascoltano e mettono in pratica le sue parole.

Insomma, chi crede veramente nel Signore e nelle sue sante promesse, deve restare perennemente in lotta con se stesso e con il proprio egoismo, le proprie ambizioni e pretese, le proprie debolezze e le tentazioni mondane continuamente incombenti su di lui, se vuole sperare ragionevolmente di essere, con l’aiuto di Dio, sale della terra e luce del mondo. Alla fine, ognuno sarà “salato con il fuoco”, con il fuoco della perdizione o della eterna separazione da Dio oppure con il fuoco rigenerante dello Spirito Santo ovvero con il fuoco di una sempre più intensa conversione a Cristo che implica inevitabilmente una lotta infuocata e implacabile contro tutto ciò che tenda a separare la nostra volontà da quella divina.

Il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo anche nel caso più favorevole non è mai definitivo ed è proprio nell’ostinata volontà redentiva dell’uomo di fede che, oltre ogni suo peccato ed indulgenza al male, può divampare il fuoco della purificazione, la quale serve, durante la vita terrena o al di là di essa, a dare o ridare sale, cioè sapore, significato, senso, valore e dignità cristiani alla vita di un essere umano.

Indifferenza, scetticismo, soggettivismo spicciolo, possono senz’altro incunearsi persino in forme apparentemente consolidate di fede, ma esse, ove ciò avvenga,  evidentemente non possono coesistere con l’appartenenza a Dio e al suo Regno. Il sale e il fuoco di cui si parla in Mc 9, 41-50 devono essere intesi come richiamo ad una fede semplice e adulta ad un tempo, ad una fede spontanea e fiduciosa ma non meccanica e scontata, ad una fede non intellettualistica ma pur sempre accompagnata da un’attività critico-riflessiva della mente e da un sentire sempre nuovo del cuore.

Dobbiamo essere sale in quanto dobbiamo continuare a presentare e a testimoniare il Vangelo di Gesù per quello che è e non per quello che, magari inconsciamente, vorremmo che fosse: continua e radicale messa in discussione delle realtà interiori ed esteriori della nostra vita, dei paradigmi storico-culturali di questo mondo, degli stili teorici e pratici di vita acquisiti nel corso della civiltà umana, al fine di respingere tutto ciò che vi sia di diabolico, di divisivo, di disgregante, sia pure in una logica omologante ed alienante, e di accogliere tutto ciò che vi si sia invece realizzato come germe e segno di amore, di giustizia, di speranza e di pace.

E dobbiamo essere fuoco, fuoco di amore e di giustizia in un ardente spirito di verità e di verità rivelata, lotta appassionata contro gli idoli terreni e lotta piena di zelo contro tutti quei vizi o quelle cattive inclinazioni personali che allontanano da Dio e dalla vita eterna, pur senza demonizzare le realtà terrene e le stesse gratificazioni che possono derivare da un uso pieno ma sapiente e responsabile dei propri sensi. Dobbiamo essere fuoco spirituale, continuamente alimentato dall’inestinguibile fuoco vivificante e rigenerante dello Spirito Santo; un fuoco spirituale che ci consenta di non cedere non solo alle lusinghe terrene ma anche alle cosiddette “passioni tristi”, ovvero a quei momenti di scoraggiamento, di amarezza, di sfiducia, di resa, che  possono indurre all’indifferenza o addirittura a forme inconfessate di cinismo e, alla fine, ad un nichilismo esistenziale che è esattamente il contrario del messaggio di vita contenuto nell’opera redentiva di Cristo.

Chiunque, per quanto cosciente dei propri limiti, si immerga senza remore in una logica evangelica non contaminata da approcci teologici ambigui o malati,  può rendere sensate le cose di ogni giorno, può dare sapore a gesti, altrimenti meramente esteriori e meccanici, di affetto, di amicizia, di carità, di comunione con il prossimo più prossimo; può costruire rapporti non falsi ed ipocriti di pace con i fratelli, può conferire senso e valore all’impegno non violento ma energico contro ogni forma di quotidiana iniquità.