Cosenza: un ex frate, il Comune e la Chiesa *

Scritto da Francesco di Maria.

 

 

Per una parte del popolo cosentino un certo Fedele Bisceglia di Acri, ex frate in quanto sospeso a divinis dal suo ordine di appartenenza per esser venuto meno al voto di obbedienza, è più famoso del papa. Stando a certe voci di popolo o di popolino poi riprese dalla stampa locale, questo bizzarro e folcloristico personaggio della provincia cosentina, uscito assolto in Cassazione di recente da un’incresciosa vicenda giudiziaria che risale a circa dieci anni or sono, sarebbe vittima di un complotto ordito ai suoi danni dalla curia della città bruzia e da non meglio precisati “poteri forti” che graviterebbero attorno ad essa. Perché? Semplicemente perché il Bisceglia avrebbe creato a Cosenza l’Oasi francescana, opera oltremodo costosa ma al tempo stesso molto redditizia sotto l’aspetto specificamente economico, a presunto ed esclusivo beneficio di tutti i poveri e i diseredati della nostra città nonché degli immigrati indigenti (uomini e donne) che vi giungono per trovarvi lavoro.

La Chiesa cosentina che, sostengono alcuni, quanto ad avidità e malversazione si sarebbe macchiata di reati e colpe particolarmente odiosi negli ultimi decenni, non poteva lasciare che “tutti quei quattrini” fossero gestiti da lui, e quindi avrebbe pensato di farlo fuori infangandone dignità umana e onorabilità religiosa per mezzo della falsa accusa mossa nei suoi confronti da suor Tania Alesci.

Francamente, non si comprende per quale ragione la Chiesa cosentina, per “espropriare” il Bisceglia dell’Oasi, dovesse ricorrere ad accuse calunniose e ordire ai suoi danni trame addirittura criminali. L’Oasi non poteva essere in nessun caso proprietà di Bisceglia, né questi avrebbe mai potuto trarne vantaggi personali diretti o indiretti a qualunque titolo oppure opporsi ad una rimozione ecclesiastica dal posto di responsabile dell’istituto finalizzato alla solidarietà sociale per quella normale turnazione tra religiosi che è una delle regole auree della Chiesa cattolica.

L’unico, vero e legittimo proprietario di quell’opera, come di tutte le opere caritatevoli in generale, non poteva e non può essere che la Chiesa e il vescovo della diocesi di riferimento. Dunque, dove sarebbe il problema? Perché mai la Chiesa cosentina, per destituire un “religioso”, avrebbe dovuto far uso di “mezzucci” utili solo a ritorcersi contro di essa?

E’ evidente come qui si abbia a che fare con un tipo di congetture che viene di solito trovando un terreno particolarmente fertile in quel rozzo e per nulla innocente semplicismo religioso, ben radicato nella società cosentina, in virtù del quale la devozione per san Francesco di Assisi o di Paola sembra avere la stessa intensità della devozione per la propria squadra di calcio, l’amore per il Signore e la Santissima Vergine sembra essere perfettamente compatibile con degradanti forme di amore carnale per le donne, l’attivismo religioso più esibito e strombazzato risulta più apprezzato di una spiritualità riservata e silenziosa, il missionarismo gridato e pubblicizzato viene considerato come inequivocabile manifestazione di carità evangelica, l’ostentato prender partito a favore di gruppi di poveracci e di miserabili come segno inoppugnabile di generosità personale e di impegno sociale addirittura rivoluzionario.

Ora, l’ex religioso Fedele Bisceglia, l’ascendente che egli ha sempre esercitato per circa quarant’anni su qualche migliaio di soggetti per lo più sociologicamente marginali o spiritualmente immaturi, la notorietà procuratagli più che altro da un grancassa mediatica sempre succube di un sensazionalismo fine a se stesso quando non anche funzionale a disegni in qualche modo o per qualche aspetto “destabilizzanti” in senso socio-politico, la stessa persistente e vanagloriosa tendenza caratteriale del suddetto personaggio a stare il più assiduamente possibile sotto i riflettori mediatici piuttosto che sotto più fioche e raccolte luci conventuali, possono essere compresi proprio nel quadro di quello specifico semplicismo religioso, che però la stessa Chiesa cosentina ha sempre avuto il torto di tollerare e talvolta persino di incoraggiare per motivi di opportunità “politica”, che ben poco hanno a che fare con la missione apostolica ed evangelica che essa è tenuta a svolgere nel popolo e per il popolo di Dio non secondo criteri di convenienza o opportunità quanto piuttosto e unicamente secondo la volontà e la Parola di Dio stesso.

In questo senso, sorprende l’atteggiamento assunto tanto dal potere politico quanto, principalmente, dal potere religioso della città di Cosenza: si allude al sindaco Mario Occhiuto e al vescovo mons. Francescantonio Nolè. Il primo, cui va riconosciuto il merito di aver lavorato proficuamente per i suoi concittadini negli anni passati e di essere stato confermato sindaco con un largo consenso popolare alle ultime amministrative, ha inopinatamente deciso di chiamare all’assessorato al contrasto della povertà e al disagio (!) proprio l’ex monaco acrese che naturalmente, pur definendosi di “sinistra” (!), ha accettato subito l’incarico ringraziando Occhiuto e soprattutto i cittadini cosentini che, per mezzo del loro sindaco, avrebbero inteso, secondo lui, fargli giungere la loro stima.

Occhiuto è un amministratore certamente capace ma è anche un politico molto furbo: non fa niente per niente e se ha voluto che della sua giunta in parte bizzarra e in parte patetica facesse parte, accanto a Sgarbi (l’intelligenza più umorale d’Italia), a Iole Santelli (una delle signore più famose di Forza Italia), a Matilde Spadafora (che solo qualche giorno fa confermava la sua solidarietà a suor Tania Alesci, accusatrice di Bisceglia, e madre della povera Roberta Lanzino barbaramente stuprata e uccisa alcuni decenni or sono), anche il riottoso Fedele Bisceglia, è molto probabile che egli abbia avuto buoni e concreti motivi per farlo.

Naturalmente, sarebbe opportuno che qualche seguace biscegliano, non abituato a fare il finto tondo, spiegasse al suo capo o amico che i cittadini cosentini con la nomina conferitagli dal sindaco Occhiuto non c’entrano assolutamente nulla e che unico responsabile di questa discutibilissima scelta è lo stesso Occhiuto, che è legittimato a fare le scelte che crede ma a cui si può altrettanto legittimamente contestare di aver rimesso in circolazione, addirittura sul piano politico, una persona sempre chiacchierata come uomo e soprattutto come religioso, mostrandosi del tutto indifferente alla sensibilità religiosa di non pochi cattolici cosentini (di destra e di sinistra) che, per quanto purtroppo silenti, non hanno mai in cuor loro apprezzato il chiassoso e invadente presenzialismo, il linguaggio talvolta triviale e scurrile, l’atteggiamento arrogante e fastidiosamente farisaico di quel presunto ministro di Dio.

A me non interessa muovere accuse specifiche a Bisceglia, perché del bene o del male compiuto quaggiù egli, come ognuno di noi, dovrà render conto a Dio, indipendentemente dal fatto che si creda o non si creda in Lui, ma l'ex frate dovrà abituarsi non solo ai complimenti dei suoi fans bensí alle critiche pacate e rigorose di quanti non da oggi ma da sempre lo hanno ritenuto, per più di un aspetto, poco adatto alla vita monastica e sacerdotale di rito latino. Occhiuto, che ha manifestato pubblicamente la sua devozione francescana, si è assunto la responsabilità di chiamarlo a coamministrare il bene pubblico, e lo scrivente giudica politicamente inopportuna e religiosamente offensiva tale decisione. Prima o poi, se Dio vorrà, sapremo chi ha visto meglio.

Ma, per tutto ciò, stupisce soprattutto la reazione dei due ultimi vescovi cosentini. Da una parte, il vescovo emerito Nunnari, duramente criticato dal Bisceglia all’indomani del suo proscioglimento in Cassazione, pur “sentendo il dovere pressante della ricerca della verità”, si è preoccupato più di cautelarsi personalmente, con il chiarire che l’ex monaco era stato sospeso non da lui ma dal suo ordine religioso di appartenenza e non già per aver violato l’obbligo di castità ma quello di obbedienza, che non di ribadire coraggiosamente che, anche a prescindere dalla vicenda giudiziaria, sussistessero elementi oggettivi e chiaramente indicativi del rapporto di incompatibilità che si era venuto ormai a creare tra l’impetuoso ed esagitato religioso e la comunità ecclesiale dell’intera provincia di Cosenza.

Dall’altra, il vescovo attuale, Francescantonio Nolè, cui lo scrivente e altri cattolici cosentini hanno già provveduto lealmente a far giungere il loro pensiero al riguardo, dopo aver saputo che  Bisceglia era stato prosciolto dai reati per i quali era stato invece condannato in 1° e 2° grado e anche a seguito della pressione su di lui indirettamente esercitata dalle frenetiche esternazioni mediatiche dell’ex cappuccino, ha usato un’espressione che ha fatto arricciare il cuore a settori qualificati del cattolicesimo cittadino. Egli, infatti,  dichiarava in un comunicato: “La nostra Chiesa,  che confida nel suo Signore ma anche nell’operato della Magistratura e degli inquirenti, esprime la gioia e il ringraziamento a Dio per la felice conclusione di questo triste capitolo che ha visto coinvolto padre Fedele Bisceglia per molti anni. L’assoluzione dalle accuse mosse contro il religioso si sono rivelate destituite da ogni fondamento  e per questo la Chiesa cosentina gioisce con lui e per lui nella certezza che la verità si fa sempre strada anche nelle fatiche umane.

Ora, non si intende mancare di rispetto al pastore della nostra Diocesi, ma d’altra parte, se qualche sua pecorella strilla è solo per avvertirlo di uno stato di disagio, il che significa che un fedele non può tacere solo per viltà, né può far finta di nulla ed omettere di intervenire criticamente su un documento non solo carente sul piano logico ma anche preoccupante sotto il profilo teologico ed ecclesiale.

Innanzitutto, anche Nolè si ostina a chiamare "padre" un soggetto che oggettivamente non ha più diritto a questo titolo essendo stato espulso dal suo ordine e giustamente sospeso "a divinis" (benché Gesù ci avverta di non dare del “padre” e del “maestro” a nessuno in generale), sebbene lo stesso soggetto, incurante della disciplina ecclesiastica, abbia continuato nel tempo ad indossare arbitrariamente l’abito religioso e ad usare in modo improprio un linguaggio religioso, peraltro intriso di malcelato risentimento verso suor Tania e le sue stesse consorelle.

In secondo luogo, Nolè, almeno formalmente, sembra porre sullo stesso piano la fede che si deve a Dio e la fiducia che umanamente si può avere in magistrati e inquirenti; in terzo luogo esprime gioia e ringraziamento a Dio “per la felice conclusione di questo triste capitolo che ha visto coinvolto padre Fedele Bisceglia per molti anni”, quasi che, sotto il profilo morale e religioso, ci si possa affidare ad una sentenza giuridica di 3° grado piuttosto che di 1° e 2° grado, e a questo piuttosto che a quell’altro magistrato giudicante, su una vicenda cosí complessa e comunque comprensiva di aspetti decisamente inquietanti che risultano oggettivamente documentati seppur ritenuti, a ragione o a torto, penalmente irrilevanti.

“Felice conclusione di questo triste capitolo”? Per chi? Per un uomo in via ipotetica perseguitato ingiustamente o per una religiosa oggi, a ragione o a torto, ritenuta inattendibile dalla giustizia terrena? E’ in grado il vescovo di stabilire, secondo scienza e coscienza, quale sia realmente la verità? Se ci dice che la posizione giusta da prendere al riguardo gli è stata ispirata dallo Spirito Santo, si deve essere disposti a credergli ciecamente e a chiedergli pubblicamente perdono. Non resta che attendere!

Tuttavia, il nostro vescovo forse non si è reso conto che le sue parole intanto abbiano finito per avallare la posizione di taluni giornali laici che, pur criticando aspramente certe pratiche giudiziarie, non hanno esitato, in occasione dell’assoluzione giudiziaria di Bisceglia, che è pur sempre quella di una fallibilissima giustizia terrena, ad usarla per dare dell’ “indegno” a chiunque non abbia ritenuto e non ritenga l’ex monaco degno di indossare un abito religioso.

Ma quel che è più grave in senso teologico, pastorale e comunitario, è che Nolè giunga ad affermare: “la Chiesa cosentina gioisce con lui e per lui nella certezza che la verità si fa sempre strada anche nelle fatiche umane”; il che, di nuovo, implica non solo un attacco, al momento spiritualmente ingiustificato, all’onorabilità della suora accusatrice, ma anche e soprattutto un modo assolutamente gratuito di attenersi al vangelo e alla bimillenaria Tradizione della Chiesa cattolica, dal momento che è ben noto come la Chiesa non possa e non debba gioire con persone e in particolare con religiosi che, seppur assolti da qualche tribunale terreno, siano venuti obiettivamente meno non solo al voto di obbedienza, tanto da essere espulsi dal loro ordine religioso e dalla stessa comunità ecclesiale (cui può essere riammesso solo ove sia capace di riconciliarsi non intimisticamente ma sacramentalmente con Dio e con gli uomini), ma abbiano tenuto costantemente una condotta ben poco esemplare.

La Chiesa gioisce con e per le pecorelle smarrite, con e per i peccatori che si pentono sinceramente delle proprie colpe, con e per i martiri che testimoniano dignitosamente la loro fedeltà a Cristo, con chi pur ingiustamente perseguitato non parla continuamente di Dio solo per nominarne il nome invano e per motivi strumentali, con chi opera il bene (se davvero lo opera) senza mettersi continuamente in mostra, con chi non maledice pubblicamente i suoi presunti nemici con parole sprezzanti e irridenti ma prega in silenzio per essi sforzandosi di perdonarli (eventualmente) nel chiuso della propria stanzetta e senza suonare la tromba dinanzi ai microfoni e alle telecamere del mondo, e infine con chi ha il coraggio di testimoniare il Cristo in perfetto spirito di verità e carità esponendosi realmente a pericoli persecutori non ipotetici o immaginari ma concreti e reali.

Pensa il vescovo Nolè che possa esser questo l’identikit di Fedele Bisceglia? Non ha sentito quel che dice e come lo dice, non ha notato il suo “mettersi da parte” stando però sempre al centro dell’attenzione, non ha visto come sia lesto ad afferrare certe opportunità di potere, non ha ancora toccato con mano la sua protervia (“voglio tornare a dir messa a Cosenza e solo a Cosenza”)?

Come può essere sicuro il vescovo Nolè che la Chiesa cosentina possa gioire con e per Bisceglia? Come può escludere che essa debba invece dolersi per il grave scandalo che, in ogni caso, attraverso la vicenda che riguarda il suddetto, ha profondamente scosso la comunità cattolica cosentina? E poi non una parola, non un pensiero paterno, misericordioso, rivolto a quella suora, in ogni caso duramente provata e la cui inattendibilità è stata decretata dopotutto non in modo assoluto ma relativo visto che alcuni giudici le hanno creduto e altri no!

Certo, la verità si fa strada anche nelle fatiche umane: non sempre, però, come dice Nolè e, soprattutto, non necessariamente sulla base di sentenze scritte da uomini. Quanti innocenti vengono condannati in modo definitivo e quanti colpevoli invece vengono ingiustamente assolti in tutte le parti del mondo? Se, in presenza di casi particolarmente complessi come quello in parola, bastasse  un’assoluzione giudiziaria per dire che un tale è candido come un colombo, per tutti i Barabba del mondo dovremmo essere grati a Dio, mentre molti potrebbero sentirsi autorizzati ad avere qualche dubbio persino su colui su cui si fonda la nostra stessa fede!

Ma, è da ribadire, a prescindere dai crimini che furono contestati a Fedele Bisceglia non da una sola suora ma da decine di sue consorelle che, a suo tempo, vennero a Cosenza da Messina per testimoniarle la loro convinta solidarietà, non sbaglia chi giudica grave errore della Chiesa quello di aver tollerato per troppo tempo l’indole narcisistica, focosa, indisciplinata ed evangelicamente insofferente e faziosa dell’ex monaco e di aver trascurato o sottovalutato le segnalazioni fatte per tempo in spirito di carità alle autorità ecclesiastiche, ben prima che su di lui fossero avviate indagini e disposte intercettazioni telefoniche da parte dell'autorità giudiziaria, circa i suoi modi generalmente poco consoni alla vita monastica e sacerdotale.

Come potrebbe e dovrebbe gioire dunque la Chiesa cosentina per l’acrese Bisceglia, missionario, come sono in tanti a pensare, più per diletto personale che per vera vocazione? Quanti sono quelli che a Cosenza, in tutta coscienza, lo ritengono vittima di un complotto e, per contro, indomito servo di Cristo? Mi spiace per la mia Chiesa diocesana, mi spiace per il pastore terreno della mia diocesi, ma dovevo fargli sapere, come semplice pecorella del suo gregge, che ha preso una sonora cantonata, benché non me ne siano chiari per ora i veri motivi. Dio mi perdoni, se ho sbagliato!

* Francesco Bisceglia, ex p. Fedele, ritenendosi diffamato dall'articolo su pubblicato, ha minacciato di querelarci. Poiché qualcuno, per suo conto, ha ipotizzato che nasconderemmo la nostra vera identità personale dietro il nome vocazionale qui adottato di Francesco di Maria, si ritiene opportuno precisare che la nostra identità anagrafica, a tutti ben nota, è la seguente: Francesco Luciani, Piazza Loreto 35, Cosenza.