La misericordia evangelica, questa sconosciuta
Non sarebbe possibile alcuna forma di vita umana e sociale se gli uomini non si sforzassero di stabilire cosa è vero e cosa è falso, cosa è bene e cosa è male, cosa è giusto e cosa è ingiusto, cosa è compatibile e cosa è incompatibile con il principio della libertà e della dignità della persona. Non sarebbe possibile alcuna forma di convivenza civile se ognuno di noi dovesse essere e restare del tutto indifferente ai comportamenti del prossimo, ponendo relativisticamente sullo stesso piano e ritenendo ugualmente legittimi comportamenti anche opposti e anzi tutti i possibili comportamenti umani.
Se nessuno potesse o dovesse assumersi la responsabilità morale e/o religiosa di giudicare in bene o in male questo o quel modo di essere e di vivere, non solo molti misfatti e delitti della storia resterebbero impuniti e insuperati, con conseguente impossibile progresso di civiltà umana, non solo non potrebbero esistere alcuna seria critica morale e alcun ordinamento giuridico capace di giudicare le azioni e i comportamenti dei cittadini, ma l’esistenza delle persone più oneste, più miti e più deboli sarebbe continuamente e irrimediabilmente in balía delle prepotenze, delle voglie e dei capricci dei più disonesti e dei più violenti.
Ora, ci si rende facilmente conto che l’invito di Gesù a non condannare e a non giudicare non può e non deve essere inteso come invito a tollerare di fatto su questa terra abusi, prepotenze e crimini umani. Non è affatto cosí: esso non ha né un significato quietistico o autolesionistico né un significato astrattamente e genericamente assolutorio. Il vangelo di Cristo è un vangelo che non restringe ma allarga la razionalità umana e la stessa razionalità morale dell’umanità, facendone intravedere notevoli possibilità emancipative. Non si tratta di lasciar fare, di chiudere gli occhi su sbagliati o dannosi comportamenti singoli o collettivi, perché questo significherebbe non solo avallarli e consentirne una radicalizzazione sempre più profonda nella vita reale di tutti i giorni ma anche e soprattutto precludersi la possibilità di aiutare gli stessi erranti a prender coscienza degli errori commessi ed eventualmente a cambiar via per un miglioramento della propria vita oltre e prima che di quella altrui.
Gesù ci dice di non giudicare e non condannare in modo assoluto e perentorio perché vi sono aspetti di quel che si giudica che tendono necessariamente a sfuggire al nostro giudizio, cerca di farci capire che è sbagliato giudicare senza riflettere e quasi in modo istintivo, e prescindendo sostanzialmente da una precisa consapevolezza delle proprie debolezze e negligenze, dei propri errori e limiti. Bisogna giudicare ma senza pretendere di essere superiori a colui che volta a volta sia oggetto del nostro giudizio. Come dire: il nostro giudizio dev’essere quanto più possibile misericordioso in rapporto ad una situazione data, a questa o a quella specifica realtà di cui io sia testimone o attore, senza paradigmi di misericordia standardizzabili una volta per tutte. In questo senso, precisa Gesù, ognuno di noi sarà giudicato da Dio con la stessa misericordia con cui sarà stato capace di giudicare gli altri nel corso della propria vita.
Come si vede, il non giudicare evangelico non ha niente a che fare con quell’insulsa e ipocrita arrendevolezza, con quel rinunciatarismo ricattatorio e talvolta vile, di cui sono piene molte omelie. Esso muove invece dal presupposto che ogni giudizio deve muovere innanzitutto dalla propria autocritica, dalla capacità di vagliare criticamente se stessi e la propria condotta, per potersi configurare come giudizio equilibrato, privo di rancore o di pregiudizio, tendenzialmente obiettivo e quindi realmente responsabile e costruttivo. Soprattutto, il non giudicare deve essere aperto, schietto, franco e caritatevole, non nascosto o bisbigliato e dettato da maldicenza o volontà di diffamazione. Non è un caso che Gesù, subito dopo aver detto che non bisogna giudicare, ponga la seguente domanda: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?» (Lc 6,39-40).
E’ vero che Gesù fu sempre pronto a perdonare tutti, ma non mancò di esprimere giudizi di severa riprovazione contro sacerdoti del tempio, autorità politiche, e peccatori incalliti radicalmente chiusi ad ogni possibilità di pentimento. Egli amò buoni e cattivi, senza però mancare di elogiare i cattivi che diventano buoni e di ammonire i buoni che diventano o sono in realtà cattivi: si pensi alle belle parole da lui espresse su taluni pubblicani e prostitute, sul centurione pieno di fede, sul ladrone crocifisso con lui, e si pensi poi alle parole amare pronunciate su taluni indegni “rappresentanti del sacro” e su certi “figli della perdizione” oltre che su tutti coloro che vivono in modo incoerente e superficiale la loro fede in Dio.
E’ evidente che egli desideri che i ciechi, in senso fisico come in quello spirituale, siano aiutati a trovare la strada, ma proprio per questo denuncia le guide incapaci, le guide cioè che pensano soprattutto a giudicare e a condannare, contribuendo a complicare la situazione, e non a capire, a riflettere, a vedere e a cogliere la complessa specificità di un percorso umano, proprio al fine di portare altri sulla buona strada. Lo stesso dover perdonare settanta volte sette si inscrive perfettamente in questo ragionamento: non già nel senso di consentire all’offensore di perpetuare impunemente una condotta lesiva della dignità altrui, ma nel senso di non accanirsi mai verso chi, pur sbagliando gravemente e reiteratamente nei confronti del prossimo suo, meriti tuttavia di essere sanzionato sul semplice piano morale o anche dalle norme giuridiche esistenti e possibilmente alla luce di un condiviso e universale principio di giustizia. La misericordia si affianca alla giustizia senza ostacolarla ma, al più, per mitigarla, cosí come la misericordia di Dio sarebbe incomprensibile senza la sua giustizia.
Quella cristiana, perciò, non è un’etica debole ma un’etica ben più forte ed esigente, ben più razionale ed equilibrata di quel che generalmente si pensa, un’etica però di cui molti cristiani non sono ancora consapevoli anche perché non vengono aiutati abbastanza a diventarne consapevoli. Si pensi al comportamento stesso di Gesù: durante la sua vita pubblica ha forse perso occasione per giudicare energicamente il comportamento di molti farisei, dei cambiavalute del Tempio rovesciandone persino i tavoli, dei membri del Sinedrio e, non di rado, degli stessi apostoli?
Gesù non fu mai passivo, indifferente, permissivo e giustificazionista dal punto di vista morale, pur essendo oltremodo mite, paziente e comprensivo verso i peccatori. Fu sempre infinitamente misericordioso verso tutti, sino al punto di immolarsi per la salvezza delle moltitudini umane, ma questo non gli impedí di formulare minacce ben precise, circa la vita ultraterrena, per coloro che si fossero rifiutati deliberatamente di avere fede in Lui e avessero bestemmiato contro lo Spirito Santo.
Quindi, quanti oggi, credenti e non credenti, continuano a percepire l’invito di Gesù a non giudicare e a non condannare come una specie di invito a farsi i fatti propri e a non rischiare di urtare la suscettibilità altrui (la suscettibilità, solo per fare qualche esempio particolarmente eclatante, di chi in chiesa accavalla le gambe o non si accorge di avere scoperte una parte delle sue natiche, di chi in chiesa veste in modo indecorosamente attillato o succinto e assiste alla messa accarezzando tranquillamente il suo cagnolino o inviando messaggini telefonici, o anche di chi ha la responsabilità di autorizzare liturgie troppo "scenografiche"), sono in grave errore e tendono a interpretare il messaggio salvifico di Gesù come un messaggio molto più consolatorio ed edificante che non finalizzato all’azione e ad una vita realmente impegnata, virtuosa e santa.
Il Signore è molto chiaro: «Non giudicate secondo le apparenze, ma giudicate con giusto giudizio» (Gv 7,24). E ancora: «Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano» (Mt 18,17), fermo restando che la forza profetica dello Spirito Santo può indurre talvolta persino un singolo battezzato a prendere posizione contro l’intera comunità religiosa di appartenenza. Tant’è vero che Paolo afferma: «Ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina» (2 Tm 4,2).
La pace di Cristo non nasce dall’assenza di conflitto ma dalla persistente e salutare presenza di conflitto interiore tra quello che sono e faccio e quello che ancora non sono e non faccio, perché è solo in questa continua tensione ad un incessante superamento dei nostri limiti e della nostra mediocrità che si dischiude la possibilità di accedere stabilmente e perennemente al Regno di Dio.