Gesù e la violenza
Quando sussistono le condizioni per potersi difendere individualmente o collettivamente dalla violenza altrui, come da prepotenze o soprusi di qualunque genere, il cristiano non deve crearsi inutili e ingiustificati scrupoli di coscienza e deve sapersi evangelicamente legittimato a proteggere la propria persona e, ancora di più, quella di altri soggetti eventualmente deboli e indifesi, con azioni o reazioni appropriate e consentite dalla lettera e dallo spirito del vangelo. Gesù non ha mai detto né inteso dire che bisogna rimanere ingenuamente o masochisticamente in balía di violenti e malfattori, né che bisogna tacere dinanzi ad angherie, prevaricazioni e iniquità, ma piuttosto che bisogna sforzarsi di non reagire con la stessa violenza ricevuta, di non usare la forza con la stessa brutalità con cui la si sia dovuta subire, di non cercare di pareggiare i conti con il proprio offensore o nemico con un odio e uno spirito di vendetta pari alla gratuita ed incontrollata aggressività dell’oltraggio o del maltrattamento di cui si sia stati oggetto.
Gesù non ha mai messo in discussione i mezzi repressivi, il carcere o la stessa tortura (da lui stessi subíti), di cui dispone lo Stato per far rispettare il diritto ed assicurare l’ordine e la pace sociali, per cui chiunque si rivolga allo Stato per ottenere giustizia non viene di certo biasimato o condannato da lui purché per l’appunto nel chiedere giustizia non venga in realtà perseguendo gli stessi scopi malvagi del suo nemico o persecutore ma venga limitandosi a perseguire il riconoscimento delle sue ragioni e dei suoi diritti nonché il risarcimento dei danni fisici o morali che gli siano stati arrecati. Allo stesso modo Gesù non ha mai condannato l’uso delle armi a scopo di difesa personale e collettiva né l’esistenza di eserciti e soldati preposti appunto a garantire la sicurezza dello Stato e della comunità che vi fa capo e a tutelare l’integrità fisica e la dignità umana e morale di sudditi o cittadini, né d’altra parte ha adoperato esplicite parole di condanna della guerra per quanto deprecabile sia universalmente questo ricorrente fenomeno della storia umana. Né infine Gesù, rivolgendo ai singoli l’invito a “porgere l’altra guancia”, ad amare i nemici e a pregare per i persecutori, ha inteso depotenziare il diritto personale alla difesa anche oltre il limite della difesa per l’appunto legittima ovvero volta ad impedire la propria soppressione indiscriminata o, soprattutto, la soppressione di gruppi di persone innocenti per qualunque motivo posta in essere.
La teologia cattolica, al riguardo, appare ancora esposta a notevoli rischi di incertezza e ambiguità, ma è ormai tempo di rendersi conto, anche attraverso un più sapiente e ispirato magistero ecclesiale, che nostro Signore non era né un ingenuo, né uno sprovveduto, né un pacifista unilaterale e fanatico. Egli, dotato come nessun altro di profondo realismo, cercò solo di insegnare ai suoi seguaci come, anche per difendersi, non bisogna mai mettersi sullo stesso piano psicologico ed esistenziale di coloro che amano la violenza e che se ne fanno anche tacitamente teorici o sostenitori solo per poter compiere senza intralci morali azioni disoneste ed inique a danno del prossimo e in aperto contrasto con le leggi di Dio.
Porgi l’altra guancia, in questo senso, significa cerca di avere pazienza, sopporta quanto più è possibile il male ricevuto, e se proprio è necessaria la tua reazione o un tuo atteggiamento di difesa fai sempre in modo che l’una e l’altro non comportino mai la stessa disumanità, la stessa cattiveria e la stessa malvagità, che sono insite nelle offese di nemici e persecutori. Anzi, continua ad amare i primi, nel senso di non odiarli mai sino al punto di rinnegarli come figli del nostro unico Dio e come fratelli e di percepirli come individui cui non si ritenga di mostrare segni di vicinanza, di compassione o di pietà, persino nel caso in cui essi dovessero necessitare del nostro aiuto, del nostro soccorso e della nostra solidarietà personale. Gesù vuole altresí insegnarci a pregare sinceramente per chi ci perseguita perché il persecutore, macchiandosi di una colpa molto grave e dovendo render conto delle sue malefatte alla giustizia divina, è sempre più debole ed infelice del perseguitato, il quale al contrario, quali che possano essere le sue ingiuste sventure terrene, può confidare sempre e comunque nell’incondizionata misericordia di Dio.
Lo Stato è stato voluto da Dio proprio al fine di reprimere le peggiori pulsioni degli esseri umani che, per quanto sostenuti dalla grazia divina, restano pur sempre fragili, a causa delle conseguenze negative del peccato originale, e pertanto esposti alla tentazione di compiere persino i più abietti misfatti. Il credente che ricorre legittimamente agli ordinamenti civili e giuridici dello Stato non ha cosí nulla da rimproverarsi sul piano evangelico, cosí come è non solo legittimo ma moralmente ed evangelicamente necessario ricorrere alla violenza se siano in atto aggressioni violente nei confronti di persone inermi e aggressioni che non sia possibile fermare o contrastare con mezzi non violenti di difesa. Ovviamente ogni violenza di difesa resta nel solco evangelico se non supera la violenza dell’aggressore ma risulti ad essa proporzionata o commisurata, senza quindi trasformarsi in una violenza eccedente, vendicativa, non necessaria e volta ad infliggere agli aggressori danni e sofferenze di gran lunga superiori a quelli subíti.
Non bisogna essere né ambigui né ipocriti: è vero che, nei rapporti con gli altri, non solo non bisogna essere malvagi ma bisogna anche far di tutto per evitare di contribuire ad elevare il livello di un ipotetico scontro o contrasto, comportandosi sempre umilmente e saggiamente, ma è altrettanto vero che, in tutti quei casi della vita e della storia in cui tende ad imporsi non già la ragione dell’uomo giusto e caritatevole ma la forza dell’ingiusto e dell’oppressore, il primo, avendone eventualmente la concreta possibilità, ha il dovere morale ed evangelico di promuovere o organizzare la legittima difesa, ovvero una difesa anche violenta, di piccoli, deboli, inermi e oppressi. In caso contrario, infatti, si potrebbe incorrere nel peccato di omissione e di correità oltre che in quello implicito di viltà ed irresponsabilità.
Tuttavia, è altrettanto indubbio che il vangelo chiama i cristiani alla non violenza: il cristiano deve essere infatti fondamentalmente un mite, un “operatore di pace” (non un pacifista), e in molti casi un “perseguitato per la giustizia” fino al martirio e allo spargimento del proprio sangue. Ecco perché l’invito evangelico a non rispondere al male con il male ma con il bene resta il perno centrale e inamovibile nella vita e nella testimonianza della Chiesa e dei fedeli davanti al mondo.
Ciò precisato, però, non bisogna fare di Gesù un predicatore astratto, distratto, sognatore e un po’ matto, perché in realtà la sua predicazione è sempre lucida, realista, profonda, pungente e provocatoria. Se qui assumiamo quali punti significativi di riferimento e di confronto, i versetti evangelici di Lc 22, 35-39 e soprattutto di Lc 22, 49-53; Mt 26, 51-56; Gv 18, 10-11, ai quali si rinvia per motivi di brevità, è probabile che il nostro ragionamento ne esca pienamente confermato.
Da essi emerge, infatti, quanto segue. Gesù non ha niente da rimproverare a coloro che vanno in giro con spade e bastoni per difendersi e difendere il prossimo da malintenzionati dediti al furto o incuranti di uccidere qualcuno pur di raggiungere i propri scopi; Gesù non ha niente da ridire sul fatto che si acquisti e si porti con sé un’arma a scopi difensivi e anzi sa bene che, prima di essere arrestato nel Getsemani, almeno qualcuno dei suoi discepoli è armato di spada. Gesù non contesta in linea generale il diritto alla resistenza armata ove si sia oggetto di azioni illegali e inique o di forme del tutto arbitrarie o gratuite, se non anche deliberatamente disumane, di violenza; Gesù peraltro ipotizza che, ove fosse messo in pericolo il suo regno dall’empia e malvagia violenza umana, non esiterebbe a chiedere al Padre suo più di dodici legioni, evidentemente ben armate, di angeli; ma Gesù insegna che si danno anche situazioni di vita in cui non solo è perfettamente inutile ricorrere alla stessa difesa legittima perché troppo soverchiati dalla altrui violenza o per le funeste conseguenze per se stessi e per altri che il pur legittimo uso della forza potrebbe successivamente comportare, ma si sia profondamente consapevoli di poter essere più utili e più incisivi per la vita umana civile e spirituale del prossimo e di una comunità più o meno ampia di persone, proprio rinunciando intenzionalmente al legittimo diritto di opporsi ad una violenza dispotica o ingiustificata e quindi al diritto naturale di opporre resistenza alla cattiveria o barbarie altrui.
Una di queste situazioni di vita in cui si rinuncia del tutto a qualunque tipo di difesa personale è quella sperimentata da nostro Signore, allorché, ormai prossimo al momento conclusivo e al pieno compimento della sua opera di salvezza, si sottopone liberamente ad ogni genere di oltraggio, sino alla morte di croce, per interpretare fedelmente fino in fondo la misteriosa figura messianica del “servo sofferente” di Dio, che, come recitavano le Scritture, avrebbe dovuto soffrire molto, essere condannato e morire giustiziato ad opera, fu questo per Gesù l’aspetto più duro del suo sacrificio, delle massime autorità della religione ebraica.
Le cose stanno cosí e chi vuol capire, comprenda! E’ certo che dal Vangelo non emerge alcuna ammirazione per “l’uomo violento”, per l’uomo che si affida alla violenza come più efficace strumento di risoluzione di ogni contrasto e per l’uomo che ritenga di poter far valere le sue ragioni, giuste o sbagliate che siano. Le ragioni degli zeloti erano in parte giuste e in parte sbagliate ma Gesù non approvò la loro propensione ad un esercizio sistematico della violenza e di una violenza omicida. Il cristiano deve sapere che l’autodifesa è certamente legittimata dalla Parola di Dio, come lo è l’uso di strumenti per costruire, per cucinare o per trasportare merci e persone, ma deve sapere anche che questo principio dell’autodifesa non deve occupare nella sua mente e nel suo cuore molto più spazio di quello occupato da altre questioni legittime e tuttavia transitorie e non dotate di primaria importanza.
Sebbene gli esseri celesti combattano e eseguano i giudizi divini con la spada fiammeggiante per proteggere da presenze indegne e indesiderate sia l’originario Giardino edenico sia la Città celeste che si manifesterà pienamente alla fine dei tempi, la loro attività primaria è la comunione con Dio e con il Suo popolo, il canto nel culto e nel vivere in pace. Questa è anche la nostra destinazione.