Quando la forma ignorò Darwin: introduzione alla scienza della morfologia*

Scritto da Fulvio Saggiomo.

 

Prima parte

Una delle teorie scientifiche che maggiormente hanno influenzato la cultura del XIX secolo e che continua tutt’oggi ad essere teoria dominante, almeno nell’ambito delle scienze biologiche, è senza ombra di dubbio la teoria dell’Evoluzione. Al contempo, però, nessun’altra teoria, forse a cagione della sua longevità, ha visto sgretolarsi nella stessa misura, nel corso del tempo gli assunti ed i pilastri su cui si era retta. Ad oggi, l’evoluzionismo, in virtù dell’avanzamento degli studi in tutte le discipline correlate: dalla genetica alla biologia molecolare, alla paleontologia ecc, potrebbe essere definita, senza tema di smentita, una teoria ormai tramontata, che sopravvive esclusivamente sui testi scolastici e sui libri degli accademici che ancora si ostinano a difenderla seppur con mille distinguo, mille se e ma.

Già dall’origine, dalla pubblicazione dell’Origine delle Specie di Charles Darwin, essa trovò critici illustri dal grande spessore scientifico e filosofico. Ai tempi di Darwin già avevano pubblicato i grandi della biologia morfologica, vale a dire i fautori di quella tradizione filosofica, prima che scientifica, risalente ad Aristotele e che legge le trasformazioni della vita alla luce del primato della forma a scapito dell’adattamento per selezione naturale. Tali grandi pensatori della vita rispondono ai nomi, altre che del già citato Aristotele, di Linneo, Cuvier, Saint Hilaire, Goethe, Von Baer e, all’inizio del 900’ D’Arcy Thompson, Kleinschmidt, Dacquè, Westenhöfer , Portmann, Sacchetti in Italia e, in tempi più recenti, sempre in Italia, Giuseppe Sermonti (tra i fondatori del gruppo degli Strutturalisti di Osaka), e Roberto Fondi, paleontologo a Siena, solo per citare i maggiori. Prima di passare all’analisi della questione bisogna, però, sgombrare il campo da alcuni pregiudizi, che si riscontrano anche tra gli accademici, che ostacolano un dibattito scientifico sereno e costruttivo. In primo luogo, al giorno d’oggi, tutte le polemiche e i dibattiti sembrano ridursi ad un vero e proprio contrasto ideologico tra creazionisti ad oltranza o potremmo definirli i fondamentalisti del creazionismo e gli evoluzionisti puri, cioè quelli che sostengono la versione moderna del darwinismo, il cosiddetto neodarwinismo, cioè Darwin arricchito dalla scoperta del Dna.

Da tale dibattito si escludono, spesso volutamente, coloro che invece criticano il darwinismo non dal punto di vista della versione biblica della creazione ma, sgombrando il campo da ogni assunto preconcetto si attengono strettamente ai fatti riscontrati dall’osservazione scientifica, e questi fatti ci raccontano tutt’altra storia sia da quella della creazione in 7 giorni che da quella di un’evoluzione per tentativi ed errori nell’arco di centinaia di milioni di anni: vale a dire che al di là di adattamento e selezione (di cui parleremo in seguito), esiste una legge interna alla natura che si serve di modelli generali (i grandi gruppi dei viventi) e di una legge di sviluppo rigorosa quanto una legge fisica per passare da un gruppo ad un altro, senza ricorrere ad anelli di congiunzione e ad ipotesi stocastiche assolutamente prive di alcun fondamento epistemologico prima che scientifico.

Ma partiamo dal principio, cioè da Darwin stesso. Ebbene, non tutti avranno letto un classico come L’Origine delle specie per selezione naturale oppure L’Origine dell’Uomo, e tra quelli che li hanno letti pochi si saranno soffermati su quelle parti in cui lo stesso Charles indica le difficoltà e le possibili obiezioni alla sua teoria.

La teoria classica sostiene che in natura esiste una lotta senza quartiere tra le specie viventi, una lotta nella quale sopravvivono solo i più dotati ed adatti, inoltre gli individui delle specie viventi andrebbero soggetti a variazioni casuali che possono essere vantaggiose o svantaggiose. Quelle vantaggiose aiuterebbero l’individuo che ne è affetto a sopravvivere e verrebbero conservate per le generazioni future attraverso la riproduzione. Quelle svantaggiose, viceversa sarebbero semplicemente eliminate in quanto l’individuo affetto soccomba. Questo meccanismo si chiama selezione naturale. Secondo questo assunto una specie si trasforma o ne genera un’altra attraversando una serie di cambiamenti infinitesimi nel corso di migliaia di generazioni e quindi a rigor di logica si dovrebbero trovare nei giacimenti fossili ed anche tra le specie viventi tutte le gradazioni intermedie. Ma di tali gradazioni, tra gli organismi viventi, neppure l’ombra e tra i fossili si riscontra la medesima situazione, al punto da spingere il grande paleontologo e biologo evoluzionista, Stephen Jay Gould a parlare di equilibrio punteggiato: secondo questa teoria le specie viventi sarebbero “individui darwiniani”[1] molto stabili e longevi che appaiono o si estinguono nell’arco di pochissime generazioni (quindi “improvvisamente” nella prospettiva dei tempi geologici), lasciando scarse o nessuna traccia del passaggio dall’una all’altra; qui il gradualismo trova la sua lapide tombale e il suo necrologio, ad opera di un “addetto ai lavori”. Sull’equilibrio punteggiato avremo modo di tornare allorché dovremo trarre le conclusioni di questo discorso.

All’epoca di Darwin nulla si sapeva dei geni e di quale meccanismo potesse generare la variabilità individuale e inoltre la ricerca paleontologica era ancora lacunosa. Da pochi decenni, infatti, Cuvier e Saint Hilaire avevano cominciato a disseppellire le creature del passato e pertanto Darwin attribuiva la mancanza di “anelli di congiunzione” o meglio sarebbe chiamarli varietà intermedie, all’ancora scarso avanzamento degli scavi e dei ritrovamenti. Nonostante questa speranza Darwin non mancò di sottolineare come questa fosse una difficoltà potenzialmente letale per la sua teoria. Ecco le perplessità di Darwin in proposito: «Perché, se le specie sono derivate da altre specie attraverso una serie di gradazioni insensibili, non troviamo ovunque un gran numero di forme di transizione? Perché la natura, invece di presentare le specie ben definite che vediamo, non si trova nella più grande confusione?» (Orig.d.specie, pag 216); «Ma se, come vuole la teoria, devono essere esistite innumerevoli forme di transizione, perché non le troviamo seppellite in gran numero nella crosta terrestre?» (Or.Sp., pag 218); «…se la mia teoria è vera, è certo che debbono essere esistite infinite varietà intermedie, che collegarono strettamente tutte le specie dello stesso gruppo. Però proprio il processo di selezione naturale tende costantemente, come abbiamo più volte rilevato, a distruggere completamente le forme originarie e gli anelli intermedi. Per questo le prove della loro passata esistenza potrebbero essere trovate esclusivamente fra i resti fossili che si sono conservati in forma estremamente imperfetta e saltuaria» (ibid. pag 223-224).

A 150 anni il timore di Darwin è diventato realtà e la teoria degli equilibri punteggiati è là a testimoniarlo. Ma vedremo che anche questo non è altro che un tentativo estremo di salvare tutta una teoria ed un’intera visione del mondo.

In questo stesso capitolo Darwin non manca di rilevare anche un altro fatto problematico, cioè che le varietà di una medesima specie possono incrociarsi dando origine a prole fertile mentre le specie, seppur di uno stesso gruppo biologico, se si incrociano danno vita a prole sterile (Cavallo-Asino; Tigre-Leone ecc…) ; in pratica le specie sono ermeticamente separate le une dalle altre ed una ipotetica forma intermedia, con caratteristiche intermedie tra due specie perfettamente adattate al proprio habitat sarebbe destinata a scomparire. Si immagini infatti un essere non più quadrupede ma non ancora in grado di volare, o peggio un quadrupede che sia sulla via di diventare un cetaceo. Questa specie intermedia, inoltre, si troverebbe ad essere una varietà tanto della specie di partenza che di quella d’arrivo e potrebbe, pertanto, incrociarsi con entrambe, mentre queste non potrebbero tra loro, se invece lo potessero le due specie non sarebbero più due ma una (errore logico!) e Darwin, da scienziato serio qual era, lo sapeva benissimo.

Altro problema affrontato da Darwin, poi, è quello che con termine moderno, mutuato dagli studiosi vicini all’ambiente dei creazionisti evangelici americani, possiamo chiamare complessità irriducibile[2], cioè, l’esistenza di organi e strutture con una complessità tale da escludere ogni pensiero di mutazioni ed aggiustamenti graduali, infatti: «Se si potesse dimostrare che esiste un qualsiasi organo complesso, che non può essersi formato tramite molte tenui modificazioni successive, la mia teoria crollerebbe totalmente». (Or.Sp.; pag 232).

Ed in effetti esistono strutture come l’occhio, o l’ala degli uccelli che sono difficilmente immaginabili come prodotto di una serie di tentativi ed errori. Ma di questa questione tratteremo dopo aver conquistato un punto di vista più favorevole. Un’ennesima questione trattata da Darwin è quella inerente al concetto di utilità. Evidentemente la teoria evolutiva è fortemente incentrata su questo concetto. Infatti ciò che rende una mutazione favorevole è proprio la sua utilità ai fini della sopravvivenza, quindi tutte le strutture viventi, nessuna esclusa, devono avere un’utilità immediata o nascosta. Ebbene, ammette Darwin, se esistesse una sola struttura senza utilità riscontrabile oppure una struttura semplicemente “bella”, artistica, saremmo tentati di dire, la teoria evolutiva subirebbe un altro pesante colpo. In merito ai detrattori dell’utilitarismo infatti Darwin afferma: «Costoro credono che molte strutture siano state create perché appaiono belle agli occhi dell’uomo o per semplice varietà. Se questa dottrina fosse vera, sarebbe assolutamente fatale per la mia teoria. Con tutto ciò riconosco pienamente che molte strutture non sono direttamente utili per i loro possessori». (Or.Sp.; pag. 240)

In questo passaggio Darwin ammette quanto letale possa essere per la sua teoria una tale evenienza ma appare comunque scettico della sua universale diffusione ed universalità. Ben diversa la sua opinione in un’opera posteriore,

L’Origine dell’Uomo del 1871: «ma ora riconosco [……………………] che nelle prime edizioni della mia “Origine delle specie”, ho forse attribuita una troppo larga azione alla scelta naturale o alla sopravvivenza dei meglio provveduti. Ho corretto la quinta edizione dell’Origine, limitando le mie osservazioni ai mutamenti nella disposizione della struttura. Io non avevo dapprima considerato sufficientemente l’esistenza di molte strutture che non sembrano essere, per quanto possiamo giudicare, nè benefiche nè dannose; e questo io credo sia uno dei più grandi errori che io abbia finora trovato in quel mio lavoro»(L’Origine dell’uomo e la selezione in rapporto al sesso; pag. 175).

Tale affermazione è importante per due motivi. In primo luogo egli riconosce che esistono molte di quelle strutture, la cui esistenza egli giudicava fatale per la teoria e questo dimostra sia l’onestà scientifica di Darwin ma anche l’immane difficoltà che gli si para dinnanzi. Inoltre, e questo è un punto nodale della questione, egli si rende conto di aver attribuito, proprio ad onta dell’esistenza di moltissime strutture neutre, un’importanza eccessiva alla selezione naturale e alla sopravvivenza del più adatto. Qui ci troviamo di fronte e due ordini di problemi. Il primo: se la varietà è in larga misura neutrale, su cosa opererà la selezione naturale? È evidente che senza variazioni vantaggiose e svantaggiose la selezione è totalmente inutile. In secondo luogo: qual è l’origine della varietà, sia intraspecifica che interspecifica? Alla prima domanda si può rispondere che semplicemente la selezione non opera e quindi non può essere la causa della varietà. Ma siccome la varietà esiste e le specie sono perfettamente adatte al loro habitat, evidentemente tutto ciò avrà un’altra causa. Ma prima di essere un problema scientifico, la selezione naturale è un problema filosofico. La teoria di Darwin nasce, tra le altre cose, per ammissione dello stesso Darwin, nelle righe immediatamente successive al passo citato tratto da L’origine dell’uomo… proprio come reazione alla dottrina delle creazioni separate e delle cause finali, quindi dall’esigenza di eliminare delle cause esterne alla natura stessa. Ma proprio la selezione naturale ne costituisce una, perché per operare una selezione occorre una causa che “sappia” quali caratteri siano vantaggiosi e quali no e quindi operi una “scelta” e soprattutto abbia in vista il fine di tale azione: generare esseri adatti. Il problema è che gli esseri si adattano ma senza selezione e la varietà spesso non è legata ad alcun problema strettamente adattivo.

Infatti si tende sempre di più a parlare, tra gli specialisti, di speciazione allopatrica e deriva genetica oppure di speciazione simpatrica e neotenia o pedomorfosi[3] come processi cardine del fenomeno della differenziazione e adattamento dei viventi. La prima si verificherebbe quando un piccolo gruppo di individui di una specie si trova isolato in un contesto diverso dal luogo d’origine, in cui la specie, nella sua totalità, aveva naturalmente una ricchezza genetica superiore. La deriva genetica è causata proprio dal numero esiguo di individui e quindi dalla probabilità maggiore che un singolo carattere acquisti una predominanza che non aveva nella patria d’origine, quindi che salti fuori, dall’assortimento dei geni un carattere che nella popolazione intera era recessivo e silente. Facendo l’esempio del sacco di fagioli. Se un sacco contiene mille fagioli, bianchi e rossi in egual numero, e se ne tirano fuori dieci a caso, scegliendoli da tutto il sacco, ci saranno più o meno le stesse probabilità di tirarne fuori di bianchi e di rossi in egual numero. Diverso sarà il caso se si ridurrà la scelta a cinquecento e poi a cento, cinquanta. Meno saranno i fagioli più bassa sarà la probabilità che i due caratteri si presentino equilibrati e più alta quella che ne escano ad esempio nove rossi e uno bianco, o tutti rossi. Il numero esiguo introduce un elemento di instabilità ma, aggiungiamo, anche di impoverimento. In realtà la deriva genetica genera solo varietà o esplicita caratteri già insiti nel patrimonio genetico della specie ma non crea nuovi geni e quindi nuove strutture. La seconda forma di speciazione è quella che coinvolge gli animali nella patria originaria arricchita dal tema della neotenia (che approfondiremo in seguito per la sua importanza). In pratica nella terra originaria di una specie ci sarebbe un più vasto assortimento di geni e quindi un maggior numero di combinazioni possibili e quindi di risposte alla situazione ecologica e alle sollecitazioni ambientali. Tuttavia, la mancanza di forme di passaggio o gruppi di trasformazione ha spinto molti Biologi (Schindewolf, Goldschmidt, Dalcq, ad esempio) a pensare che la specie potessero nascere in seguito ad eventi eccezionali come blocco dello sviluppo allo stadio fetale, quindi ad uno stadio meno specializzato e a mutazioni generalizzate che porterebbero quindi alla comparsa di adulti profondamente differenti. Tuttavia queste mutazioni non possono essere casuali, poiché perché nasca, ad esempio, da un animale terrestre un animale volante in grado di sopravvivere, la serie di mutazioni deve essere immediata, efficace e finalizzata. O si pensi al passaggio dall’uovo semplice di pesci e anfibi all’uovo amniotico con guscio rigido dei Rettili e degli Uccelli (e dei Mammiferi monotremi). Il Caso non può avere parte in un simile processo. Tali biologi, inoltre, non specificano di che genere di mutazioni si tratti e eventualmente in cosa diverse da quelle conosciute dalla genetica. Evidentemente queste spiegazioni date dagli “addetti ai lavori” sia darwinisti che neo darwinisti, non possono soddisfare l’innata ricerca delle cause che contraddistingue l’umanità in quanto tale.

Ma, prima di accennare ai dettagli molecolari e genetici inerenti al nostro argomento, occorre caratterizzare le grandi linee del dibattito ottocentesco sull’origine della varietà dei viventi. Ebbene le tre grandi figure che si stagliano, a nostro avviso, su tutte le altre e che caratterizzano tre idee archetipiche tra le quali si inseriscono le più svariate gradazioni sono: George Cuvier, Geoffroy Etienne de Saint Hilaire e Johann Wolfgang von Goethe. Cuvier può essere considerato il padre dell’anatomia comparata e della disciplina che studia i fossili. Fu il primo ad accorgersi che non esisteva alcuna soluzione di continuità tra gli strati fossiliferi e quindi tra le creature che avevano abitato i periodi corrispondenti. Egli imputò questa discontinuità ad una serie di catastrofi che di volta in volta avrebbero colpito la Terra in epoche lontane e al sopraggiungere nelle aree colpite dai cataclismi di nuove specie provenienti da altre aree e quindi non, come erroneamente gli fu attribuito, alle creazioni successive. Ma questo è solo un dettaglio delle sue idee biologiche. Cuvier, seguendo e sviluppando le idee di Aristotele, come sono presentate nella raccolta Sulle parti degli animali, comprese come le specie viventi seguano precisi principi di sviluppo organico, principi logici, potremmo dire, prima che biologici, infatti così si legge nell’articolo IV della prima delle Lezioni di anatomia comparata, nell’edizione del 1836: «In effetti non vi è alcuna funzione che non abbia bisogno dell’aiuto e del concorso di quasi tutte le altre, e che non risenta in qualche misura del loro grado di energia. La respirazione, per esempio, non può svolgersi che con l’aiuto dei movimenti del sangue, poiché essa non è altro che l’avvicinamento di questo fluido all’elemento circostante; ora, poiché è la circolazione che mette il sangue in movimento, essa è, per così dire, un mezzo necessario alla respirazione.

La circolazione stessa trova la sua causa nell’azione muscolare del cuore e delle arterie; essa dunque non avviene che per opera dell’irritabilità. Questa, a sua volta, trae origine dal fluido nervoso, e di conseguenza dalla sensibilità, che risale, con una specie di circolo, alla circolazione, causa di tutte le secrezioni, del fluido nervoso e delle altre. Che sarebbe la sensibilità se la forza muscolare non la soccorresse, fin nelle minime circostanze? A che servirebbe il tatto se non si potesse portare la mano verso gli oggetti da toccare? Come potremmo vedere se non si potesse girare la testa o gli occhi a volontà? E’ in questa mutua dipendenza delle funzioni, in questo aiuto che esse si portano reciprocamente, che sono fondate le leggi che determinano i rapporti degli organi, necessarie quanto quelle della metafisica e della matematica: è infatti evidente che l’armonia conveniente fra gli organi che agiscono gli uni sugli altri, è una condizione necessaria dell’esistenza dell’essere al quale essi appartengono, e che se una delle funzioni fosse modificata in un modo incompatibile con le modifiche delle altre, questo essere non potrebbe esistere».

Quindi, secondo Cuvier, vi sono delle leggi, necessarie quanto quelle della Metafisica e della Matematica, che reggono il rapporto tra le parti e delle parti col tutto. Infatti, più avanti Cuvier: «Così un animale che non può digerire che carne, deve, pena la distruzione della sua specie, avere la facoltà di vedere la selvaggina, di inseguirla, di afferrarla, vincerla, smembrarla. Gli occorre dunque, necessariamente, una vista penetrante, un odorato fine, una corsa rapida, agilità e forza nelle zampe e nelle mascelle. Così, mai coesisteranno denti atti a tagliare la carne nella stessa specie con un piede corneo, che non può che sostenere l’animale, e con il quale non può afferrare. Donde la regola che gli animali con zoccoli sono erbivori; e le regole ancor più dettagliate, meri corollari della prima, che piedi con zoccoli indicano molari a corona piatta, tubo digerente molto lungo, stomaco ampio o multiplo, ed un gran numero di altri rapporti del genere».

Ed in maniera ancor più stringente nel Discorso preliminare alle Ricerche sulle ossa fossili dei quadrupedi, del 1812:

«Per fortuna l’anatomia comparata possedeva un principio che, sviluppato correttamente, era in grado di eliminare ogni imbarazzo: era quello della correlazione delle forme negli esseri organizzati, per mezzo del quale ogni essere potrebbe, a rigore, essere riconosciuto da un qualsivoglia frammento di ciascuna delle sue parti. Ogni essere organizzato forma un insieme, un sistema unico e chiuso, le cui parti si corrispondono l’un l’altra, e concorrono alla stessa azione definitiva attraverso una reazione reciproca. Nessuna di queste parti può cambiare senza che le altre pure cambino; di conseguenza, ognuna di esse, presa separatamente, indica e permette di ricostruire tutte le altre.

[…]In una parola, la forma di un dente comporta la forma del condilo, quella dell’omoplato, quella delle unghie, allo stesso modo come l’equazione di una curva comporta tutte le sue proprietà; e allo stesso modo che prendendo ogni proprietà separatamente come base di un’equazione specifica si ritroverebbe sia l’equazione ordinaria, sia tutte le altre proprietà, allo stesso modo l’unghia, l’omoplato, il femore, e tutte le altre ossa prese separatamente, comportano il dente e, reciprocamente, le altre strutture; iniziando da ognuna di esse, chi possieda razionalmente le leggi dell’economia organica, potrebbe rifare tutto l’animale».

Principio ardito quanto efficace quello di Cuvier di guardare alla scienza della natura organica con lo stesso rigore con cui un matematico guarda alle curve e alle rispettive equazioni. Effettivamente Cuvier era in grado, con stupore dei suoi studenti e contemporanei, di risalire da un semplice molare di Mastodonte o di Mammuth alla forma generale dell’animale mostrando una maestria davvero prodigiosa ed una conoscenza straordinaria delle leggi dell’economia organica. Ma ciò che è ancora più importante è la convinzione che l’organismo fosse un tutto e che la correlazione delle parti fosse comprensibile solo a partire da questa unità di fine che tutte le forme organiche mostrano.

Saint Hilaire, quasi contemporaneo di Cuvier e in un certo senso, suo antagonista, sosteneva lo stesso principio di unità ed armonia dell’organizzazione organica, ma, mentre per Cuvier questa unità ed armonia affondavano le radici in principi e leggi estrinseche allo stesso mondo organico a cui l’organismo doveva uniformarsi se voleva conservarsi come tale, per Saint Hilaire l’organismo vivente possiede un principio di organizzazione interna, una legge intrinseca, un principio ideale, unico per tutti gli animali che, seppur condizionato in una certa misura dalle condizioni esterne e dalle leggi della natura inorganica, possiede tuttavia un suo peculiare modo di rispondere alle sollecitazioni dell’ambiente e delle leggi sue proprie. Infatti già in un intervento del 1796 sul Magasin Encyclopédique (vol. VII, pag. 20) Saint Hilaire sostiene: «Se consideriamo specificamente una singola classe di animali, il suo piano generale ci apparirà quanto mai evidente: noi noteremo che le differenti forme……..derivano tutte le une dalle altre ed è sufficiente che siano mutate alcune delle proporzioni degli organi per renderli adatti a nuove funzioni o per estenderne o restringerne l’uso».

Quindi è evidente, già da questo breve passo, che Saint Hilaire ammette la trasformazione delle specie le une nelle altre ma a partire dal modello generale di una classe animale, ad esempio, poniamo dei mammiferi, ed una legge di sviluppo che egli definisce unità della composizione organica che ha quattro capisaldi: legge dell’analogia, legge della connessione tra le parti, legge dell’affinità elettiva tra elementi organici e legge del bilanciamento tra gli organi.[4] La prima legge ci dice che i grandi gruppi organici sono dominati, tra loro ed al loro interno dalla legge dell’analogia, posseggono quindi strutture e funzioni analoghe (seppur non omologhe saremmo tentati di aggiungere, ma sulla differenza tra omologia e analogia torneremo in seguito), ad esempio le branchie dei pesci e i polmoni dei tetrapodi terrestri hanno la stessa funzione anche se in elementi differenti e con una origine genetica differente (infatti i polmoni dei tetrapodi terrestri sono probabilmente affini, geneticamente parlando, alla vescica natatoria dei pesci e quindi sono organi omologhi)[5]quindi organi con uguale funzione ma derivazione differente. Oppure la struttura della “mano” dei tetrapodi; essa è sempre pentadattila e le ossa seppur attraverso modifiche di volume, forma ecc, conservano posizione e rapporto reciproco[6]. La legge della connessione tra le parti dice che le parti degli animali hanno rapporti costanti, anche se con differenti proporzioni o usi a seconda della specie. Ad esempio nell’arto anteriore dei Vertebrati, le ossa hanno un rapporto costante tra loro, anche se in alcune specie sono accentuati alcuni segmenti ed in altre altri: nell’uomo ad esempio hanno il predominio il braccio e l’avambraccio rispetto alla mano, che però e molto versatile ed ha le falangi libere, nei cetacei invece la mano è enorme e omero, radio ed ulna sono molto brevi, e insieme alle falangi, spesso molto allungate, accorpate nel tessuto connettivo a formare una paletta; negli uccelli, solo il terzo dito è sviluppato e si allunga a formare la struttura portante dell’ala, mentre le altre falangi sono ridotte a vestigia. Nonostante tale varietà il rapporto tra le ossa resta costante.

La legge dell’affinità elettiva tra le parti dice che alcune parti od organi sono legati da un filo o da un principio, secondo il quale qualsiasi variazione dell’uno ne porta una nell’altro, ad esempio il rapporto tra arti anteriori ed arti posteriori, resta sempre costante, più si sviluppano gli uni più regrediscono gli altri; oppure tra collo e resto del corpo più il collo è lungo più il corpo si accorcia (Giraffa, Fenicottero) o arti e coda (nei Serpenti, ad esempio, gli arti sono scomparsi e l’animale è diventato “tutto coda”).

Il principio precedente ci proietta verso il quarto, la legge del bilanciamento tra le masse degli organi. Ad esempio la legge che stabilisce che tutti gli animali con corna non possono avere tutti i denti sulla mascella, infatti bovidi e cervidi mancano degli incisivi sulla mascella e i canini ove ci siano, sono molto ridotti o scompaiono. I Camelidi invece, non hanno corna, ma hanno collo ed arti più lunghi e due incisivi sulla mascella, hanno, inoltre, uno stomaco composto simile a quello dei ruminanti con corna veri e propri; quindi vi è un rapporto tra corna, denti ed appendici da un lato e sistema digerente dall’altro (rapporto già notato da Aristotele).

Tutto questo anticipa fortemente quella che sarà la teoria del tipo o unità del Tipo e il principio della Metamorfosi di Goethe, oggetto delle prossime pagine.

[1] Qui evidentemente si sposta l’attenzione dall’individuo biologico, oggetto del darwinismo classico, alla specie vista come soggetto del processo evolutivo.

[2] Michael Behe, dell’Università di Leighton (Pennsylvania), ad esempio.

[3] Stephen Jay Gould; Ontogenesi e Filogenesi; Ed. Mimesis, Milano-Udine, 2013

[4] Etienne Geoffroy de Saint Hilaire; Philosophie Anatomique, vol.2, Discourse preliminaire, pg. 31-34

[5] Sia i polmoni che la vescica natatoria, embriologicamente, sono una estroflessione dell’esofago a livello faringeo, le branchie invece sono una derivazione delle fosse faringee, che poi danno origine alla laringe e alla trachea nei vertebrati superiori.

[6] In realtà la distinzione tra analogia e omologia non è così stringente come potrebbe sembrare. Infatti ci si aspetterebbe ad esempio che la mano dei tetrapodi sia assemblata a partire dallo stesso gruppo di geni, ma non è sempre così; e viceversa, spesso organi, funzioni o proteine differenti sono assemblati in organismi differente dagli stessi geni; infatti si parla anche di geni Ortologhi e Paraloghi: cioè, rispettivamente, un gene che ne genera due indipendenti l’uno dall’altro oppure ne genera due per sdoppiamento. Pertanto in tal caso bisognerebbe, forse, coniare una terminologia adatta e parlare, a limite di analogia morfo-genetica ed eterogenesi omologa (genetica nel senso di Goethe, come vedremo tra breve)

 

 Seconda Parte

Già da queste poche righe appare evidente come nella teoria di Saint Hilaire quanto in quella di Goethe, il fissismo delle forme viventi sia assolutamente fuori discussione: le specie si trasformano, si adattano alle condizioni esterne, ma non seguendo i capricci del caso, ne attraverso la selezione naturale, la quale, tutt’al più ha una funzione conservativa più che innovativa, ed i meccanismi di protezione e correzione del DNA sono là a dimostrarlo.

Arrivando a Goethe, dopo questa rapida occhiata a Cuvier e Saint Hilaire, vediamo subito che il pensatore tedesco è senza ombra di dubbio più vicino al secondo: l’unità del Tipo non è altro che l’unità della composizione organica scoperta da Saint Hilaire; tuttavia non si può non notare, e lo faremo tra breve che Goethe non esclude assolutamente l’influenza e le sollecitazioni dell’ambiente (in termini darwiniani la lotta per l’esistenza), tuttavia, comprende che l’influenza dell’ambiente, senza l’unità del Tipo diventa qualcosa di incomprensibile. Questo fu un problema che non sfuggì a Darwin, il quale, alla fine del capitolo de L’Origine delle specie, già citato, dedicato alle difficoltà della teoria, così scrive:

Generalmente si riconosce che tutti gli esseri organizzati sono stati formati in seguito a due grandi leggi: cioè l’Unità di Tipo e le Condizioni di Esistenza. Per unità di tipo si intende quella fondamentale somiglianza di struttura, che noi vediamo negli esseri organici di una medesima classe, e che è affatto indipendente dalle loro abitudini di vita. Seguendo la mia dottrina, l’unità di tipo viene spiegata dalla unità di discendenza. L’adattamento alle condizioni di esistenza, sul quale ha tanto spesso insistito l’illustre Cuvier, viene abbracciato completamente dal principio della elezione naturale. Perché l’elezione naturale agisce, o coll’appropriare le parti variabili di ogni essere alle sue condizioni di vita organiche ed inorganiche: oppure cogli adattamenti praticati nelle lunghissime epoche trascorse; trovandosi questi adattamenti agevolati, in certi casi, dall’uso e dal non-uso, od anche essendo leggermente affetti dall’azione diretta delle condizioni esterne della vita e soggiacendo poi sempre alle diverse leggi di sviluppo. Quindi, nel fatto, la legge dell’adattamento alle Condizioni di Esistenza è la più elevata; mentre comprende quella dell’Unità di Tipo, per l’eredità degli adattamenti antichi.

In questo passo è oltremodo evidente che questi erano temi di pubblico dominio, almeno tra gli specialisti e che il dibattito era molto sentito dallo stesso Darwin, il quale sembra avere a cuore inserire i suoi concetti di discendenza e selezione all’interno di quel dibattito. Ed infatti egli legge l’unità del Tipo come mera comunanza di struttura imputabile alla discendenza comune dei viventi e l’adattamento alle condizioni di esistenza come effetto della selezione naturale, che, tuttavia, come abbiamo visto e come approfondiremo, serve più a spiegare la costanza delle forme viventi che la novità. Per Darwin è la legge dell’adattamento alle condizioni di esistenza la più importante e da essa dipende strettamente anche l’unità del tipo in quanto questa venga interpretata come semplice frutto della discendenza e quindi degli adattamenti antichi.

È evidente che Darwin veda le leggi di sviluppo del vivente alla stressa maniera in cui il fisico classico vede le leggi della natura inorganica, vale a dire in maniera astratta, come idea che agisce dall’esterno e non come principio interno, stimolato certamente dalle condizioni esterne ma con dei principi suoi propri e con quella organicità, per esprimerci in termini fenomenologici, che è il suo residuo eidetico o fenomeno tipico o fenomeno primordiale per dirla con Goethe[7].

Ed infatti in questo passo della poesia La metamorfosi degli animaliGoethe, con l’occhio intuitivo proprio ai grandi spiriti, con una pennellata da grande artista spiega tutto ciò che c’è da capire sulla sua posizione, che raccoglie, come vedremo, in un’unica visione, Cuvier, Saint Hilaire e Darwin :

«[…] Ogni animale ha il fine in se stesso, esso sbuca fuori perfettamente conformato dal grembo della Natura e la sua prole è perfetta quanto lui. Tutti i suoi organi sono conformati da leggi eterne. Ogni forma per quanto bizzarra, richiama segretamente al suo Tipo.

Ogni bocca è disegnata per accogliere un particolare nutrimento che giovi al suo corpo; che sia debole e senza denti o con mascelle ben dentate e possenti ogni creatura avrà un organo perfetto per recare nutrimento alle altre membra.

E gli arti, brevi o lunghi, si muoveranno in perfetta armonia con i bisogni e i desideri dell’animale.

La Grande Madre ha distribuito la forza plastica in maniera totale e perfetta in modo che ogni suo figlio ne potesse fruire, in modo che nessuna delle proprie parti vitali confliggesse con un’altra.

Così la forma di un essere modella il suo stile di vita, e inversamente, il suo stile di vita esercita un possente impulso sulla sua forma: tutte le strutture organizzate sono stabili ma pronte a mutare spinte dalle sollecitazioni esterne.

Anche all’interno della più nobile delle creature una forza alberga, una forza incatenata nel sacro cerchio della genesi delle forme viventi.

Questi sono i vincoli che nessuna divinità può infrangere; onorato dalla Natura, solo un limite può condurre una forma alla perfezione.

Così uno spirito sembra lottare nel profondo di ogni creatura, quasi a voler spezzare le catene e a rendere le forme arbitrarie e arbitrario il desiderio. Ma per quanto si sforzi, lo fa invano, poiché per quanto esso tenda verso questa o quella parte rendendola ricca e possente, in compenso ne languono altre, in quanto la sproporzione e l’eccesso distruggerebbero prestamente ogni bellezza di forma e la lieve purezza del moto.

Pertanto, se osservi che un animale possegga un determinato vantaggio, chiediti prontamente quale sia lo svantaggio che lo affligga altrove, cercando il difetto ovunque esso sia, con mente investigante. In questo modo scoprirai la chiave che ti dischiuderà il segreto delle forme.

Mai, infatti, è esistito essere che abbia tutti i denti piantati nella mascella superiore a cui sia spuntato un corno in fronte; mai, per quanto sforzo ed energia profusa, alla Madre Eterna riuscì di far nascere un leone con le corna, non avendo massa sufficiente per completare tutti i denti e per piantare corna o palchi.

Possa recarti gran diletto questo sublime concetto di potenza e controllo, di azzardo e legge, libertà e misura, di ordine in movimento, svantaggio e beneficio […]».

Qui balzano all’occhio subito gli elementi chiave del pensiero goethiano, in particolare il concetto di misura e proporzione. Nella concezione goethiana di Natura non esiste arbitrio incontrollato o fantasia smodata. La Natura dota il vivente di una forza plastica e di leggi ben precise, che potremmo definire leggi di bilancio, già presenti, in una certa misura, come visto, in Saint Hilaire, solo che in Goethe assumono una veste sistematica e scientifica senza precedenti. Infatti nella Introduzione generale all’anatomia comparata fondata sull’osteologia del 1795 Goethe afferma:

Se noi esaminiamo attentamente un animale, scorgeremo che la diversità delle forme che lo caratterizza proviene unicamente da ciò che una delle sue parti si fa predominante sull’altre.

Così, nella giraffa, il collo e le estremità sono favoreggiate alle spese del corpo, mentre nella talpa la cosa va oppostamente. Dunque esiste una legge in virtù della quale una parte non potrebbe aumentare di volume che alle spese di una altra parte, e viceversa. Questi sono i confini entro i quali la forza plastica si esercita nel modo il più bizzarro e il più arbitrario senza poterli mai oltrepassare; la forza plastica regna sovranamente entro questi confini, che sono poco estesi, ma sono sufficienti al suo sviluppo. Il totale generale del bilancio della natura è fisso; ma essa è libera di spenderne le somme parziali in quel modo che meglio le piace. La natura, quando vuol spendere da una parte, deve far economia dall’altra, e perciò non può mai indebitarsi nè far fallimento.

Come affermerà alcuni anni dopo nella Metamorfosi degli animali, esiste una ferrea legge che detta i limiti entro cui il vivente si può muovere, limiti invalicabili in quanto nella natura esiste fantasia ma non arbitrio e senza limite all’arbitrio non esiste perfezione. Le forme viventi sono perfette in quanto conformate secondo misura ed equilibrio. Lo spettacolo del mondo naturale nasce dalla lotta tra la tendenza all’eccesso e quindi al caotico e il limite che lo frena e conforma secondo ragione, seppur nella massima varietà.[8]

Per Goethe, inoltre, come per i suoi contemporanei, lo studio dello scheletro è fondamentale per lo studio delle forme e delle abitudini, nonché nell’intuire la fisiologia degli animali. Allo studio delle ossa, infatti, dedica una parte molto cospicua dei suoi studi sul mondo vivente; così si esprime nell’opera appena citata: «Lo scheletro evidentemente è l’impalcatura che determina la forma degli animali. Il conoscimento dello scheletro agevola il conoscimento di tutte le altre parti…». Ma non basta, seguendo il principio di Saint Hilaire di osservare gli organi dalla manifestazione più evidente seguendone, nelle differenti specie, le sue variazioni fino alla sua scomparsa, Goethe suggerisce, per ogni osso di creare delle tavole sinottiche in cui si considerano tutte le variazioni a cui esso va soggetto o a cui può andare incontro: «Le deviazioni delle forme possibili si deducono, sia mercè il ragionamento, sia mercè l’esperienza; esse dovranno essere presentate nel quadro sinottico, procedendo dal semplice al composto; dallo stato rudimentale allo stato perfetto, e viceversa, secondo che l’uno o l’altro metodo apparirà più chiaro».

Evidentemente essendo l’impalcatura dell’organismo animale, lo scheletro non può non essere conformato per accogliere e sostenere una certa natura organica. Lo scheletro è un po’ la carta di identità, il suo segno distintivo, la segnatura della vita a cui è stato destinato.

Inoltre, Goethe nello stesso testo procede con rigore ad elencare tutte le ossa di cui si compone il Tipo generale dei Vertebrati e poi illustra ciò che resta costante e ciò che può variare nella natura ossea: evidentemente il posto e la funzione sono i parametri che tendono a restare invariati ma ogni osso può subire molteplici variazioni di forma, può atrofizzarsi, può saldarsi ad un altro fino a diventare quasi irriconoscibile o diventare ipertrofico o essere spinto in una direzione o nell’altra ed essere piegato alle esigenze generali dell’organismo; di tutto questo deve occuparsi lo studioso di zoologia.

In secondo luogo, il perfetto equilibrio tra sollecitazioni esterne e legge interna di sviluppo: gli esseri viventi sono perfettamente adattati al loro ambiente e modellano le proprie abitudini a partire dalla forma e dalle funzioni di cui sono dotati ma, inversamente, l’ambiente e lo stile di vita che conducono esercita una forte spinta su forma e funzioni, pertanto, appare logico pensare che se le condizioni di vita cambiano in maniera sostanziale, l’essere vivente si adatterà alle nuove condizioni, ma senza mai violare i principi ideali del Tipo e le leggi dello sviluppo organico, come ad esempio la legge del bilanciamento delle masse.

Le leggi organiche appaiono altrettanto stringenti di quelle della natura inorganica ma su un altro piano; mentre, infatti, non si potrà dire che la gravità è un principio interno alla pietra, in quanto la pietra subisce la gravità, in un certo senso la legge di gravità le è esterna. Al contrario l’essere organico ha la sua legge all’interno: il bue non subisce la legge del bilanciamento delle masse, questo principio è parte integrante del suo organismo e agisce a partire dall’interno conformandolo, rinuncia agli incisivi superiori, infatti, per sviluppare le corna, come l’elefante, che perde tutti i denti tranne i molari per far spuntare le possenti zanne[9]. La legge del vivente è immanente ad esso, è appunto una legge organica.

Ma prima di passare oltre occorrerà soffermarsi per qualche riga sulla natura del Tipo. Evidentemente il Tipo, a detta dello stesso Goethe, non può essere un organismo particolare: se è il modello su cui sono fondati tutti gli altri progetti non potrà essere uno di essi. Neppure l’organismo più perfetto, l’Uomo, può essere il modello generale, proprio a cagione della sua perfezione. Il Tipo è un’immagine generale in cui sono presenti gli elementi della natura animale e tutte le sue possibili variazioni. Volendo operare un’analogia con la Geometria potremmo dire che la Natura organica in generale rappresenta lo spazio ed i suoi elementi: punto, linea, superficie e volume e le varie suddivisioni del mondo organico sono gli assiomi e i postulati seguiti gerarchicamente dai teoremi, corollari ecc…

Ad esempio la prima suddivisione “assiomatica” potrebbe essere quella tra natura vegetale e natura animale ed effettivamente quella tra animale e pianta è una polarità fondamentale. Le piante usano il residuo metabolico della respirazione animale, del metabolismo delle proteine o della degradazione organica per produrre nutrimento che poi alimenta tutta la catena alimentare, rilasciando ossigeno, esso stesso fondamentale per la vita. Il gesto simbolico della pianta è l’apertura alla luce e la produzione della vita dalla morte, quello dell’animale è la chiusura e l’attività interiore (che implica evidentemente il rilascio di tossine e quindi produzione di morte).

All’interno del mondo animale, possiamo trovare un’altra polarità fondamentale nella separazione tra Vertebrati ed Invertebrati in realtà sarebbe più esatto parlare di Epineuri ed Iponeuri cioè animali che hanno un canale neurale cavo al di sopra del canale digestivo e quelli che ce l’hanno invece pieno e al di sotto. Anche questa polarità ha un valore “assiomatico” generale che viene poi declinato in ogni gruppo nelle maniere più disparate rispettando sempre lo schema originario.[10] All’interno dei Vertebrati, poi, le varie classi possono essere considerate come altrettante specificazioni del tipo, teoremi che hanno nelle differenti specie altrettanti corollari. Tuttavia il parallelo con la Geometria finisce qui poiché il mondo vivente non è un mondo statico, non è fatto di concetti fissi ed immutabili ma di realtà in continua trasformazione.

Per seguire effettivamente la metamorfosi occorre da un lato l’osservazione sagace e la comparazione di innumerevoli casi e reperti e poi un pensiero intuitivo mobile ed estremamente elastico, come quello che serve per immaginare, ad esempio, un triangolo che diventi retto, equilatero, isoscele, scaleno, acutangolo, ottusangolo, un pensiero “genetico” direbbe Goethe, cioè un pensiero in grado di tener dietro e di ricostruire a partire dai dati osservabili tutte le trasformazioni cui un fenomeno è andato incontro a partire dal modello tipico ed usando tutti gli strumenti euristici a disposizione, in sintesi un pensiero plastico come plastico è la natura del suo oggetto.[11] In realtà per Goethe i sensi educati ad osservare e il pensiero addestrato a percepire le essenze dei fenomeni sono lo strumento di ricerca più perfetto in assoluto, poiché quelle essenze non sono delle semplici generalizzazioni di fatti ma forze reali che agiscono nella Natura e che il pensiero Umano è in grado di cogliere. Tra l’altro anche la famosa legge biogenetica fondamentale, quella della ricapitolazione di Haeckel, quella che avrebbe dovuto dimostrare la teoria darwiniana della discendenza e della derivazione genetica delle specie l’una dall’altra, e quindi confutare il Tipo, inteso goethianamente, ha dimostrato la sua poca veridicità. La legge di Haeckel dice in poche parole che la ontogenesi ricapitola la filogenesi, cioè che nello sviluppo embrionale l’individuo ripercorre tutte le trappe dei gruppi animali “inferiori”, riproponendo le forme adulte dei gruppi che hanno preceduto quello dell’embrione in questione. Il primo critico fu il grande Von Baer, pioniere dell’embriologia che aveva già formulato le sue quattro leggi dello sviluppo, leggi ancora valide e rimaste forse le parole più lapidarie dell’embriologia di tutti i tempi. Il senso delle leggi di Von Baer risiede nella convinzione che lo sviluppo embrionale sia un processo di individuazione, dal generale al particolare. L’embrione quindi può essere simile ad altri embrioni solo nei primissimi stadi di sviluppo, quando è solo un agglomerato di cellule (quindi parliamo dei primi giorni). Già dalla formazione della linea primitiva, da cui origina il canale neurale (ricordiamo che negli epineuri è dorsale e negli iponeuri è ventrale) abbiamo la prima profonda differenziazione, quindi un vertebrato non potrà mai passare attraverso la somiglianza con un invertebrato. Quindi i caratteri generali compaiono prima di quelli specifici, allontanando sempre più il feto da qualsiasi somiglianza con qualsiasi adulto di specie inferiori. Inoltre, osserva Von Baer, molto spesso non sono i caratteri adulti degli esseri meno evoluti a comparire nell’embrione di quelle più evolute ma al contrario sono i caratteri embrionali degli organismi inferiori a comparire nell’adulto delle forme superiori, e questo in maniera evidente nelle specie dello stesso Phylum: ad esempio le larve dei Miriapodi (centopiedi e millepiedi) che presentano tre paia di zampe come i loro cugini Insetti, più evoluti. Il fenomeno è lampante tra specie dello stesso Ordine. Ne è un esempio lo sviluppo embrionale delle Scimmie Antropomorfe in cui il feto, alla nascita presenta i caratteri tipici del genere Homo: uguale lunghezza degli arti anteriori e posteriori, foramen magnum (il “buco” alla base del cranio dal quale passa il midollo spinale) in posizione centrale, scarso prognatismo delle mascelle, cranio globulare e di grandi dimensioni, canale sessuale verticale ecc…, caratteri che poi scompaiono nelle scimmie adulte ma conservati nel “primate glabro”, l’ Homo Sapiens.

Ma cos’è che rende una specie più evoluta di un’altra? Di certo non il suo maggiore adattamento all’ambiente ne la sua capacità di sopravvivere, altrimenti i Batteri sarebbero senza ombra di dubbio gli organismi più evoluti in assoluto. In questa risposta ci soccorre sempre Von Baer: più la massa di un organismo è omogenea, vale a dire, più le parti di un organismo sono simili tra loro più l’organismo è da considerarsi poco sviluppato, cioè primitivo. In sintesi, più un essere è differenziato ed organicamente articolato, più è sviluppato, quindi evoluto. Ecco un criterio davvero oggettivo per stabilire il grado di sviluppo di un essere. In base a tali considerazioni, supportati delle considerazioni dell’embriologo tedesco, potremmo costruire una tavola o un diagramma di auto-azione[12] su cui porre gerarchicamente gli esseri. La parola autoazione deriva dalla fusione di altre due parole: autocoscienza e individuazione. Abbiamo visto, infatti, che Von Baer considera avanzati gli esseri più differenziati ed articolati, cioè quelli più individualizzati e finemente differenziati sin nelle parti e nelle funzioni infinitesime. Ora se osserviamo attentamente, questo progresso si accompagna ad un progressivo isolamento dall’ambiente ed allo sviluppo di vita interiore autonoma, fino a culminare, attraverso esseri sempre più coscienti, nell’Uomo autocosciente; quindi più un essere diventa sviluppato, articolato e organicamente perfezionato più tende a diventare individuale, ad isolarsi dall’ambiente e a sviluppare vita interiore sempre più autonoma. Questo è evidente, ad esempio nella scala dei vertebrati: dai pesci, totalmente immersi nel proprio elemento liquido, agli anfibi che sviluppano la deambulazione e la respirazione aerea ma che sono comunque a metà strada tra due elementi (dipendono ancora dall’acqua per la riproduzione, la loro respirazione aerea è ancora imperfetta come la circolazione e la pelle assolutamente permeabile alle influenze dell’ambiente), nei rettili assistiamo alla chiusura e “settazione” degli spazi interni e alla chiusura completa rispetto al mondo esterno grazie alla pelle cornea e alle scaglie; nei mammiferi e negli uccelli l’isolamento raggiunge la perfezione, la temperatura corporea è indipendente da quella esterna, la circolazione e la respirazione sono complete, l’espulsione delle sostanze di scarto altamente efficiente, e, cosa importantissima, inizia l’emissione di suoni articolati che denotano una vita interiore più perfezionata, fino ad arrivare all’uomo in cui il suono diventa parola, poesia, musica ed in cui si accende l’autocoscienza e il pensiero. Appare anche evidente, detto per inciso, che la perfezione fisica non sia la causa dell’autocoscienza e del pensiero ma ne sia una condizione affinché tali “fenomeni” si manifestino. Tuttavia questa scala non va vista, nell’ottica morfologica, come qualcosa di progressivo o genetico, nel senso che i gradini inferiori generino quelli superiori, ma in senso sincronico-archetipico e tipologico (sulla nascita delle specie torneremo alla fine del contributo).

Ma Von Baer anticipa anche un’altra tematica fondamentale della biologia moderna: il concetto di Neotenia[13], tematizzato dal biologo di Harward Stephen J. Gould negli anni 70’, cioè la comparsa di caratteri “infantili” negli adulti di una specie, vale a dire la comparsa negli stadi adulti di una specie sviluppata di caratteri embrionali di specie meno sviluppate[14]. Un esempio lampante di neotenia (o pedomorfosi) è quella umana: l’Uomo adulto tra i Primati è quello che più somiglia al suo embrione e gli embrioni di scimmia antropomorfa sono più simili a questo embrione (e quindi all’uomo adulto) che ai propri stadi adulti. L’Uomo sembrerebbe richiamare allo stadio aurorale della radiazione dei primati e delle scimmie antropomorfe e questo sarebbe confermato anche dalla comparazione tra il genoma umano e quello dei suoi parenti più prossimi. Confrontando i geni del DNA mitocondriale codificanti diverse proteine enzimatiche (il primo fu il Citocromo C[15] e le sue mutazioni neutrali[16]), si è stabilito che rispetto ad un ipotetico antenato comune, la linea umana ha subito circa la metà delle variazioni di quelle subite dalla linea delle scimmie antropoidi, inoltre la struttura fine della cromatina (la materia, contenuta nel nucleo cellulare, di cui sono fatti i Cromosomi che contengono i Geni, costituiti da Dna nucleare, Istoni ecc) dell’ipotetico capostipite era uguale per 18 cromosomi su 23 con le altre paia leggermente differenti. Questo vuol dire che i caratteri dell’Uomo sono “primitivi” e quelli delle scimmie derivati nel senso di Von Baer, tra l’altro questa deviazione è alquanto recente rispetto alle stime pregresse, risalendo al massimo a 2 mln di anni. Se poi si considera il cranio 1470, rinvenuto insieme a due femori, da Richard Leakey, presso il Lago Turkana, datato almeno a 3 maf con proporzioni moderne anche se di dimensioni ridotte, risulta evidente come le fattezze umane o umanoidi siano originarie e non derivate e che quindi vengano confermate le idee di Von Baer e di Gould. Un altro corollario molto importante delle leggi di Von Baer è un principio capitale per comprendere come si generano le specie viventi: un gruppo, quando prende una strada non può tornare indietro, cioè, ad esempio, una volta imboccata la strada dei vertebrati non possono generarsi o evolversi o prodursi invertebrati e lo stesso vale per tutte le ramificazioni tassonomiche, un essere specializzato non può generare mai un altro essere specializzato: un rettile non può generare un mammifero, ne un uccello; una mucca non potrà mai generare una balena, ne un elefante un cavallo, ne una scimmia un uomo. Evidentemente un organismo specializzato non solo non ne potrà generarne un altro specializzato ma neppure uno non specializzato[17]: in pratica gli esseri hanno l’opportunità di distinguersi e separarsi solo quando non hanno ancora imboccato alcuna strada, quando si trovano al bivio, cioè quando sono ancora non specializzati. In questa prospettiva, dato che attorno a noi osserviamo solo esseri specializzati, possiamo ipotizzare che allo stato attuale l’evoluzione o metamorfosi o speciazione si sia arrestata e che ormai non possano più nascere nuove specie, che la Natura abbia già fatto tutte le sue scelte possibili: gli organismi che osserviamo oggi sono il frutto di quelle scelte, l’evoluzione fisica ha raggiunto il suo limite e confine: probabilmente le specie possono solo estinguersi allo stato attuale o al massimo retrocedere involutivamente. Fatto sta che da quando l’Uomo ha memoria del suo stare al mondo, quindi dall’invenzione della scrittura, non ci è mai giunta alcuna testimonianza della nascita di una nuova specie ma solo di estinzioni e scomparse. Certo sono state scoperte nuove specie specializzate ma nessuno ha mai filmato o testimoniato il momento in cui un essere genera un essere diverso. Quindi, con i dati a nostra disposizione, ed interpretandoli o cercando di farlo in maniera spregiudicata, la conclusione più logica mi sembra proprio quella prospettata. L’evoluzione si è arrestata, non nasceranno nuove specie, al massimo varietà di specie esistenti ma non specie nuove.

A supporto di questo ci vengono, ancora una volta, in aiuto, i dati della biologia molecolare e della genetica: sembra che sulla linea umana non avvengano più mutazioni neutrali nel DNA mitocondriale[18], tutto è fermo, nell’uomo l’evoluzione fisica della natura animale raggiunge la sua fine e il suo compimento. Tra l’altro questa è anche l’opinione di illustri esperti, secondo i quali la varietà attuale di specie viventi non è per nulla superiore a quella del passato, anzi è equivalente se non inferiore rispetto alle specie estinte. Infatti i dati fossili disponibili mostrano che l’ultima esplosione di taxa[19] risale essenzialmente a 50 maf, con l’esplosione dei Mammiferi e degli Uccelli, con la comparsa di molti Ordini oggi estinti. Secondo James Brough la differenziazione sarebbe dapprima incentrata sui livelli più generali (i Phyla, praticamente quasi gli stessi a partire dalla prima esplosione, quella del Cambriano, circa 600 maf) e via via su quelli meno generali fino alle specie; quindi la differenziazione si sarebbe gradatamente ristretta e per il suo prosieguo così si esprime: «Quanto al futuro, l’Evoluzione potrà continuare operando in campi sempre più ristretti, fino a quando essa stessa non cesserà del tutto» [20]. Dello stesso avviso Henri Decugis nel 1941: «La Paleontologia ci ha insegnato nel modo più chiaro che la vita animale e vegetale è, già da lungo tempo, in forte regressione, almeno quantitativamente…. Le specie scomparse sono infinitamente più numerose di quelle ancora viventi. Noi sappiamo, per giunta, che verso la fine, molte di queste ultime si sono evolute in senso contrario al progresso organico e sono già più o meno degradate» e oltre «Inoltre…..la durata delle specie animali vertebrate è molto più breve di quella delle specie meno evolute da cui sono derivate. I tipi più perfezionati sono singolarmente più esposti alla degenerazione e all’estinzione. La fragilità dei tipi superiori è il riscatto della loro elevazione nella scala degli esseri viventi» e ancora: «Una delle certezze più deludenti della biologia contemporanea è che un numero immenso di specie vegetali ed animali, lungi dal progredire in organizzazione, sono in piena regressione…» [21]. E la stessa cosa viene notata da paleontologi del calibro di J. Piveteau, Raymond C. Moore e Alfred S. Romer.

Quindi la differenziazione procede dal generale al particolare, dai Phyla alle Classi, agli Ordini fino alle Specie, finché la spinta morfogenetica si esaurisce e le specie si estinguono o “regrediscono” a livelli iperspecializzati o di differenziazione organica meno perfezionata e rudimentale. Questi sono i vicoli ciechi dove la metamorfosi si arresta e non può procedere oltre: la vita delle Specie finisce con la specializzazione estrema in nicchie collaterali e con la regressione organica, in estrema sintesi con l’invecchiamento. L’Uomo tra tutti i primati, come abbiamo visto, sia dal punto di vista morfologico sia da quello molecolare è la forma più originaria, la meno specializzata, la più “embrionale”, la meno modificata per questo la più perfetta; le sue cugine ne costituiscono la forma senile, iper specializzata, regredita; pertanto la forma umana è l’unica forma che parla dell’indefinito, quindi del futuro. Addirittura l’anatomo patologo tedesco Max Westenhöfer[22] arriva a sostenere che le forme ominoidi come Australopitecus ecc, siano forme derivate dell’Uomo di tipo moderno o varietà dello stesso o varietà di un’unica specie dallo spiccato dimorfismo, tra l’altro lo stesso Richard Leakey ha sostenuto che i vari ominidi tra loro e con l’Homo Sapiens hanno un dimorfismo assimilabile a quello interrazziale moderno. Fatto sta che resti di uomini dalle fattezze moderne sono stati rinvenuti qua e là a vari livelli stratigrafici, anche molto antichi, ma ignorati dal mondo accademico perché non rispondenti ai dogmi del credo evoluzionistico che vedono nell’uomo l’ultimo anello della catena della vita. Ma a parte le dispute su un terreno così malfermo come quello della datazione delle rocce, l’Uomo attuale potrebbe anche essere l’ultimo in ordine di apparizione ma è il primo se valutato secondo il prototipo originario del vivente. Un fatto però resta ed è che le scimmie antropomorfe sono più recenti dell’Uomo, sono il ramo invecchiato dell’albero umano. Secondo i medievali tutti gli animali sono la forma invecchiata e senile dell’Uomo Cosmico; celebre, infatti, è la raffigurazione del Primo Adamo circondato dal cerchio degli animali, lo Zodiaco o in tempi più antichi di Phanes circondato dalla stesso circolo: gli antichi sapevano. Questo principio ci farà comprendere anche in quale prospettiva va inquadrato il concetto di metamorfosi.

Note

[7] Organicità definita già sia da Hegel sia da Schelling come eccitabilità interna e finalità intrinseca e anticipata da Kant tramite il concetto di intussusceptionem, presente nell’Architettonica della Ragione Pura, allorché discute della natura della filosofia sistematica: nel Sistema del Sapere, dice Kant, l’idea guida, in cui è presente già la totalità del sistema, organizza le parti a partire dall’interno, in maniera che necessariamente è da definire organica. Tra l’altro la discussione sul finalismo della natura Kant discute ampiamente anche nella Critica del Giudizio Teleologico.

[8] Qui sembra di rivedere la dottrina della nascita dei colori dal contrasto tra luce e oscurità che Goethe propone nella sua Teoria dei colori. Concetto di ascendenza platonica (e a sua volta pitagorico) se ricordiamo che nelle Agrapha dogmata (le dottrine non scritte), Platone è presentato come colui che descrive la nascita delle idee come generata dall’unione di Mònas e Dyas, identità-diversità, unità-dualità.

[9] In realtà nell’ottica goethiana non avrebbe neppure senso usare termini che richiamino all’utilità, che esiste ma è un concetto derivato. Infatti viene prima la spinta morfogenetica che fa saltare fuori una struttura e semmai in un secondo momento questa struttura può risultare utile. Infatti, secondo Goethe non dovremmo dire che il Toro ha le corna perché gli sono utili per spingere ma chiederci il perche il Toro abbia le corna che usa per spingere.

[10] Daniele Nani, Sincronicità e dinamica della forma; Il Capitello del Sole, 2001; pg. 39.

[11] La “genetica” goethiana del Tipo non riguarda la discendenza come quella darwiniana ma riguarda la topologia morfologica e la dinamica delle metamorfosi.

[12] Idea nata nel portico dell’Università di Napoli nel 1997.

[13] Stephen Jay Gould, ibid.

[14] Ma per specie meno sviluppata dobbiamo intendere, nella prospettiva della neotenia, come spiegheremo, specie più specializzata perche spesso la specie più specializzata è meno perfezionata di quella adattata a più ambienti o condizioni. Quindi la più avanzata e perfezionata in realtà è la meno “evoluta” e trasformata. Quindi dobbiamo parlare di caratteri meno specializzati, in quanto, le specie più specializzate sono quelle dalla forma più “senile” ma per questo anche meno perfette rispetto a specie “giovanili”, quindi meno specializzate. In questa prospettiva spesso il meglio si trova alle spalle e non davanti (evidentemente non necessariamente in senso cronologico), e ciò che appare per ultimo era prima. (G. Sermonti; Il Tao della Biologia, saggio sulla comparsa dell’Uomo, ed Lindau, Torino 2007).

[15] Coenzima ossido riduttivo mitocondriale, simile all’Eme dell’Emoglobina, che entra, insieme ad altri coenzimi e proteine (Citocromi a, b, Ubichinone, Nad, Fad e Fmn, proteine Ferro-Zolfo, ecc…) nella struttura di complessi enzimatici, che fungono, grazie al concorso di varie deidrogenasi, da accettore di elettroni e trasportatore di protoni, al fine di creare il “gradiente protonico di membrana”, differenza di potenziale essenziale alla sintesi di ATP, la moneta energetica degli organismi viventi. Cfr. Principi di biochimica; A.L. Lehninger, D.L. Nelson, M.M. Cox; ed. Zanichelli.

[16] Ad ogni tripletta di nucleotidi, i mattoni del genoma, corrisponde un amminoacido, tanti amminoacidi formano le proteine, che formano le molecole fondamentali della vita, assemblate nei Ribosomi a partire dal “trascritto primario” maturo (mRNA), grazie ad un acido nucleico specifico a forma di trifoglio, l’RNA transfer. Di solito il nucleotide in terza posizione sulle triplette del DNA, può anche essere differente senza compromettere la traduzione dell’amminoacido corrispondente, quindi la sua mutazione non viene presa in considerazione dai meccanismi di correzione sempre attivi nella cellula. Tuttavia non tutte le mutazioni sono di questo tipo, a volte si verifica una vera sostituzione, che comunque non altera il funzionamento della proteina e pertanto è sempre una mutazione neutrale. Cfr. Biologia molecolare del gene; J.D. Watson, T.A. Baker, S.P. Bell, A. Gann, M. Levine, R. Losick; ed Zanichelli.

[17] Anche il fenomeno della Pedomorfosi andrebbe visto, in tal senso, non in una prospettiva cronologica ma in senso tipologico ed archetipico. In effetti anche S.J.Gould, ci sembra, a tratti guardare a questo fenomeno come ad un principio euristico: interpretare il “ritardo” non cronologicamente ma tipologicamente.

[18] Alan Templeton e Morris Goodman; cit. in G.Sermonti; Il Tao della Biologia…, ed. Lindau, pag. 98

[19] Il taxon è genericamente una unità tassonomica che può andare dalla specie al phylum, per specificare di quale taxon si tratta si ricorre al nome specifico.

[20] Riportato in G.Sermonti, R. Fondi, Dopo DarwinRusconi, pg. 209.

[21] H.Decugis, Le veillissement du monde vivant, pg. 2, 33-34; In G.Sermonti, R. Fondi, Dopo DarwinRusconi, pg 214.

[22] Westenhöfer si spinge ancora oltre, dichiarando, dati del Dna mitocondriale alla mano, che l’Uomo si il più antico di tutti i Mammiferi. In effetti molte testimonianze di antichità variabile sono state rinvenute qua e là, ma su di essi è calato il più tombale dei silenzi. Se si rivelassero veri, questi rinvenimenti rivoluzionerebbero non solo la Biologia, ma anche la Storia umana. Come del resto già stanno facendo i ritrovamenti di civiltà avanzare in piena Età della Pietra. Ad esempio il recente ritrovamento della città cultuale di Gobekli Tepe in Turchia.

 

Terza Parte

Certo ci sono esempi di metamorfosi eclatanti nel mondo organico, ad esempio la trasformazione di un bruco in farfalla. L’azione di un ormone specifico attiva quella serie di azioni e trasformazioni che porteranno un essere strisciante a diventare la silfide dei nostri boschi attraverso un processo che ha del miracoloso. Ma si stratta di una trasformazione infraspecifica, all’interno dello stesso campo morfico, direbbe l’americano Rupert Sheldrake. Il bruco non ha senso senza la farfalla e la farfalla non ha origine senza il bruco, tutto è nell’uovo, parliamo sempre dello stesso essere. La metamorfosi del bruco è un buon esempio purché resti un’analogia allusiva, un modo molto suggestivo, quasi fiabesco, di parlare di metamorfosi, perché nella realtà naturale un essere specializzato come un bruco non genererà mai un altro essere specializzato come la farfalla, ciò può avvenire solo all’interno della stessa specie e queste due realtà sono facce della stessa unità biologica. Spesso il bruco è l’aspetto metabolico e la farfalla quello riproduttivo dello stesso essere.

Ma cosa ci raccontano la biologia molecolare e la genetica in merito? Confermano l’evoluzionismo darwinianamente inteso o lo smentiscono? cosa possono dire, invece, in merito alla Morfologia?

Queste discipline, ad onta dei sensazionali progressi fatti negli ultimissimi anni, si propongono come la spada per tagliare il proverbiale nodo di Gordio sull’evoluzionismo darwiniano e sulla scienza della Morfologia.

Il primo punto da trattare riguarda la selezione naturale. Abbiamo visto come da un punto di vista strettamente logico ancorché biologico la dottrina della selezione naturale non può reggere e ne abbiamo trovati i motivi in Darwin stesso, quindi non occorre dire altro. Tuttavia il coro neodarwinista, nonché i mezzi di divulgazione, specialistica e non, continuano a proporre imperterriti a mo’ di mantra il credo evoluzionista fondato sulla selezione naturale.

Ma la scienza dell’infinitamente piccolo, quella che penetra nel nucleo vivente della cellula ci racconta tutt’altra storia. La selezione naturale esiste ma svolge il compito contrario rispetto a quello assegnatogli dal darwinismo ortodosso: essa elimina le novità, gli errori che possono occorrere nella replicazione del DNA o nella copiatura in RNA o nella traduzione in proteine. Processi molecolari molto complessi che hanno come cardine le varie polimerasi del DNA e dell’RNA, che scorrendo sul testo o sul trascritto, leggono, traducono, copiano e trascrivono l’informazione, eliminando gli elementi estranei, in particolare appaiamenti sbagliati (eliminando le basi sbagliate o i nucleotidi appaiati in modo scorretto) o fattori estranei come elementi alchilanti (gruppi metile o acetile, radicali liberi, metalli pesanti ecc, che potrebbero compromettere il funzionamento della cellula e dell’organismo), sigillando il tutto (nel caso della trascrizione da RNA a proteine) con un cappuccio di metil-guanosina trifosfato all’estremità 5’ e una coda poliadenilica all’estremita 3’ dopo aver eliminato (splicing) i tratti non codificanti (introni)[23].

Pertanto, senza addentrarci nei dettagli molecolari che presupporrebbero cognizioni di Chimica organica avanzate, il DNA combatte attivamente l’entropia, il disordine che tende a fagocitare tutte le strutture ordinate e coerenti. Sembrerebbe non esserci scampo per la selezione naturale. Tuttavia gli “specialisti” hanno trovato un escamotage. Secondo loro la selezione naturale ingaggerebbe una gara, una lotta per la vita a livello microscopico, con i meccanismi di correzione del DNA-RNA, una gara di velocità. Quando l’efficienza e quindi la velocità nella correzione cala la selezione si incunea e opera le sue meraviglie. Quindi un processo casuale, fondato su una falla nella difesa attiva delle cellule, sarebbe alla base di un processo innovativo che si assesta su un ordine sovente più elevato e più ricco di informazione. Per avere nuovi organi, occorrono nuovi geni o una maniera innovativa di disporre ed utilizzare i geni esistenti e non del loro deterioramento.

Un altro grosso problema già trattato a livello macroscopico e che a livello microscopico diventa insormontabile per gli evoluzionisti, almeno a nostro avviso, è quello della trascrizione del DNA. Essa avviene grazie al concorso dei cosiddetti fattori di trascrizione[24], particolari molecole che agiscono in sinergia con la RNA polimerasi, molecole che si incuneano tra le spire della molecola di DNA già srotolato, la “aprono”, la “leggono”e la traducono in RNA per poi convertirla in proteine secondo il processo accennato in nota 11, coadiuvati in questo da non meno di 50 altri fattori tra enzimi, coenzimi ecc. Tali fattori di trascrizione ed i loro annessi sono anch’essi trascritti, naturalmente, a partire dal DNA seguendo lo stesso procedimento: quindi per trascrivere i fattori di trascrizione occorrono i fattori di trascrizione, cioè per tradurre o trascrivere il DNA è necessario il DNA. Vale a dire che il DNA e la sua biochimica, sono un sistema autoportante che necessita di tutti gli elementi funzionanti ed in piena efficienza, come un arco a tutto sesto che si regge finché tutte le pietre sono al proprio posto e che non può essere costruito ponendo una pietra per volta ma mettendole tutte insieme servendosi di un supporto sottostante. L’evoluzionismo non possiede questo supporto. Inoltre se si considerano tutte le altre funzioni e sistemi organici che possono attivare o disattivare i geni, come il sistema endocrino, a sua volta attivato dal sistema nervoso, impulsato dalle sollecitazioni ambientali, interne ed esterne si capisce che il passaggio da organico ad inorganico è impossibile: organismo solo da organismo, DNA solo da DNA! [25]

Ma anche qui gli evoluzionisti hanno pensato ad un antidoto. Il mondo ad RNA. Agli albori il DNA non sarebbe esistito e tutti i processi sarebbe stati espletati dal RNA che avrebbe funto da testo, copia, e catalizzatore del processo della vita. I vari tipi di RNA (mRNA, tRNA, rRNA, hnRNA, snRNA, iRNA) sarebbero la prova dell’esistenza di quel mondo. Tuttavia si tratta solo di supposizioni e comunque questo non risolverebbe il problema delle origini di questa complessità. La complessità che riscontriamo nel vivente, dal batterio all’Uomo, non può derivare dal semplice per “rabberciamenti” progressivi. Inoltre c’è un altro problema che neppure il DNA può risolvere ed è il problema della forma: il DNA e la sua biochimica fornisco i mattoni, il materiale di cui è fatto l’organismo, l’attivazione e l’inattivazione di alcuni geni, calibrata a partire dal sistema nervoso ed endocrino, regola la tempistica e l’opportunità di disporre di un gruppo di proteine piuttosto che un altro, in un posto dell’organismo piuttosto che in un altro[26] ma la forma di una mano, quella di un organo, il profilo di una corolla fiorita, le volute logaritmiche del guscio del Nautilus, la fisionomia di un volto, non sono scritti da nessuna parte nei geni e sono il frutto di forze invisibili che plasmano queste forme a partire dal materiale fornito dai complessi meccanismi molecolari del genoma.

Ma a questo punto, dopo aver mostrato che l’evoluzione come adattamento graduale per mutazione e selezione è impossibile, sorge la domanda chiave: come origina o come ha avuto origine la varietà? La nostra risposta evidentemente sarà: grazie alla metamorfosi guidata dalle leggi del Tipo, scoperte da Goethe, che agiscono nei limiti e nell’alveo dei principi scoperti da Von Baer e di altri principi frutto delle scoperte dell’ultimo secolo. Ma nel concreto come nasce una nuova Classe, un nuovo Ordine o Famiglia o Genere o Specie. Facendo un parallelo con l’Analisi Matematica, ci chiediamo cosa succede quando una curva da concava diviene convessa, cioè cosa avviene nel “punto di flesso” dei taxa, quando una forma, poniamo, rettiliana, imbocca la via mammaliana o aviana e soprattutto come avvengono quelle modificazioni così profonde che possono far ascrivere una specie ai mammiferi piuttosto che ai rettili. Evidentemente la risposta non può essere univoca ne lapidaria, stiamo cercando di sfiorare il mistero della forma e della sua provenienza, possiamo tutt’al più fare delle supposizioni ma non ripeteremo l’errore di molti evoluzionisti di proporre delle pure congetture come qualcosa di altamente probabile. Ebbene, abbiamo escluso che una specie particolare, perfettamente adattata ad una certa nicchia ecologica possa generarne un’altra altrettanto specializzata: un leone non può generare una giraffa, ne una lucertola un pipistrello, ne un salmone una balena. Del resto neppure una regressione a stadi più generali di organizzazione sono possibili una volta che la specializzazione è avvenuta; è possibile, al massimo, una involuzione e atrofia di funzioni superiori. Le svolte potrebbero avvenire, a rigor di logica, solo quando la specializzazione non è ancora avvenuta. La conclusione è che solo forme generiche possono dar vita a forme specifiche e quindi o tutte le differenziazioni si danno all’inizio, subito dopo o contestualmente alla nascita dei Phylum[27] oppure si potrebbe ipotizzare un arresto di sviluppo allo stato embrionale, accompagnato da un rimodellamento della struttura genetica in maniera non locale, quindi sull’intero fronte o su un fronte abbastanza esteso[28] e così produrre forme adulte rimappate in senso differente.[29]

La prima ipotesi può sembrare poco probabile perché le radiazioni (o meglio sarebbe chiamarle esplosioni, perché così si presentano nella stratigrafia) delle classi di vertebrati, ad esempio, si succedono l’una all’altra e sono seguite da quelle degli Ordini ecc, ma non è da escludere che le classi “successive” fossero già presenti in forme non iperspecializzate già nelle età precedenti. Tuttavia anche queste forme sono cattivi candidati per essere il “trampolino di lancio” per qualsiasi salto, in quanto già adattate ad un ambiente o ad un’altro pur conservando una certa versatilità.

La seconda ipotesi è più verosimile anche se va impostata in senso “finalistico”, poiché una mutazione del genere, così radicale, così circostanziata, come ad esempio quella ipotetica da Rettile ad Uccello non può essere sospesa sul Caso ma avere una vis interna teleologicamente indirizzata verso uno scopo; per trasformare una zampa in ala in modo quasi repentino seppur facilitato da vari fattori interni ed esterni, occorre un evento davvero prodigioso ed intelligente. Senza progetto è difficile immaginare un aeroplano, quanto più complesso è un gabbiano che veleggia nel vento!

Qualunque sia il meccanismo del salto, esso potrebbe avvenire a partire da forme massivamente transvarianti[30] verso il gruppo di arrivo. Quindi nel caso dei Mammiferi o degli Uccelli, il cui gruppo più prossimo è costituito dai Rettili, si sarebbe trattato, di creature che nel cerchio di variabilità rettiliana avevano sfiorato, tra le potenzialità insite nella Classe, quelle più prossime ai Mammiferi da un lato o agli Uccelli dall’altro, pur conservando i tratti caratterizzanti dei Rettili.[31] Evidentemente per dar forma ad una qualsiasi specie, ad esempio, di Mammifero, occorrerà il Mammifero tipico o archetipico o generico, ma questo mammifero tipico non potrà essere alcun mammifero concreto, altrimenti sarebbe già specializzato in un senso o nell’altro (H. Frieling). Quindi questi archetipi non sono forme effettive, bensì forme ideali, modelli che si incarnano in un “posto” piuttosto che in un altro. Questi archetipi sono come campi di forza che si espandono nello spazio morfogenetico in cerchi concentrici[32] e che agiscono allorché se ne presentano le condizioni opportune o prossime: nel nostro esempio l’archetipo dei Rettili espandendosi e quindi generando tutte le possibili forme rettiliane (Kleinschmidt-Dacquè)[33] tra cui anche quelle più mammaliane ed aviane, ha “sconfinato” nei campi dei Mammiferi e degli Uccelli ed ha attivato quegli archetipi i quali a quel punto hanno funto da attrattori sintropici[34] o cause finali che si servono in maniera intelligente dei geni a disposizione o generando nuove sequenze per creare le forme più consone alla propria manifestazione. Manifestazione che si esplica a vari livelli che seguono i livelli tassonomici: quindi una volta attivato il modello della Classe seguirebbe l’attivazione degli Ordini. E, dopo alcuni milioni di anni il livelli delle famiglie ecc. Quindi, ancora una volta, dal generale al particolare. Quindi esiste una sorta di travaso morfico tra i gruppi ma non si può parlare in alcun modo di derivazione anche perché occorre ripeterlo, non esistono forme di transizione tra nessuno dei taxa conosciuti, viventi o fossili ma solo esplosioni ed estinzioni quasi improvvise. Si tratta di una sorta di “dialogo” e scambio di “informazioni” biunivoco, non locale, un intreccio olografico tra archetipi gerarchicamente ordinati.

Tornando a Goethe, dopo questa passeggiata sui gradini della doppia elica del DNA.

Quali sono le linee guida, gli strumenti euristici proposti da GoetheIn primis occorre dire qualche parola sul metodo goethiano. Possiamo parlare di una fiducia di Goethe nella razionalità del reale. Il pensiero non è astrazione, ma un organo di percezione di realtà archetipe che si manifestano nel reale concreto e che è compito dell’Uomo enucleare e portare a chiarezza. Come nota Rudolf Steiner nella Introduzione agli scritti scientifici di Goethe[35] , vi sono tre livelli di comprensione: legge scientifica, tipo e concetto. Nella legge di natura l’Idea si manifesta come separata dal suo fenomeno: ad esempio la legge di gravità regola i suoi fenomeni ma resta separata, al punto che occorre eseguire esperimenti, secondo il dettato galileiano, in “condizioni ideali”, per evincere la legge. Vi è poi il livello del tipo, in cui l’Idea, lo Spirituale agisce dall’interno del fenomeno come “essenza operante” che però ancora necessita di essere guardata sensibilmente per scorgerne l’azione. Infine nel concetto, non evidentemente il concetto come immagine di una classe di oggetti, ma il concetto in se stesso; in tal caso il fenomeno e la sua legge sono uno, la legge stessa è il fenomeno ed il fenomeno si mostra immediatamente come legge. «Nella coscienza umana il Concetto stesso è l’elemento percepibile. Percezione e idea coincidono. Ciò che si contempla è appunto l’elemento ideale. Perciò a questo gradino, possono manifestarsi anche i nuclei ideali vitali dei gradini naturali inferiori»[36] quindi parafrasando dalla teoria dei colori, non è il pensiero la causa del concetto, il pensiero è la condizione del suo manifestarsi: nella coscienza umana viene a realizzarsi «il colloquio risolutore della Natura con se stessa»[37], nella coscienza dell’indagatore la Natura acquista coscienza di se. Pertanto la ricerca naturale non può non essere che una ricerca Tipologica degli archetipi che governano il mondo visibile e delle leggi che ne determinano il loro manifestarsi. Prima di qualsiasi strumento metodologico o sperimentale, ciò che va messo a punto è lo strumento più preciso in assoluto: il Pensiero che deve imparare dalla percezione l’oggettività e la capacità di penetrare ciò che ci circonda. Pensiero plastico (quindi addestrato a “guardare” il Concetto vivente, il mondo Ideale) e percezione educata all’oggettività, sono gli strumenti dello scienziato e del filosofo della Natura.

Ma quali sono i quattro capisaldi del metodo goethiano del Tipo?

ManifestazioneMetamorfosiPolarità ed Intensificazione. Primo, il Tipo si manifesta e i vari taxa sono altrettanti livelli di manifestazione del Tipo. Pesci, Anfibi, Rettili, Mammiferi e Uccelli sono, ad esempio, altrettanti livelli di apparizione del Tipo “Vertebrato”. Come si manifesta? attraverso la metamorfosi delle forme e delle strutture. Questa metamorfosi, seppur rintracciabile e ricostruibile in maniera continua nel pensiero avviene, come abbiamo mostrato, in maniera drastica per “salti quantici”. Polarità e intensificazione sono gli strumenti della metamorfosi. Ora queste due forze, come giustamente nota D. Nani[38] andrebbero lette alla luce del concetto di Sincronicità vale a dire del legame non locale e non meccanico ma simbolico e sintropico tra fenomeni. Questa, a ben guardare, è anche un’indicazione di Steiner nei cicli di conferenze sulla Medicina, che evidentemente anticipano in tal senso la tematica Junghiana. Nella polarità e nell’intensificazione evidentemente sono condensati e perfezionati i principi di Saint Hilaire. Gli organi e le strutture possono avere: un legame di affinità e quindi si perfezionano o regrediscono in parallelo o di opposizione polare ed in quel caso emerge l’intensificazione, più uno si intensifica, più l’altro regredisce. Tuttavia, non bisogna dimenticare che spesso i legami di questo tipo, i legami “simbolici” non hanno nessun elemento della causalità meccanica, il più delle volte non esiste alcun nesso causale diretto tra due fenomeni, almeno non un legame evidente; ad esempio la metamorfosi delle ossa del cranio a partire dalle vertebre cervicali. Probabilmente non è mai avvenuta temporalmente parlando ma ciò non toglie che “avvenga” sincronicamente e che vi sia un rapporto di polarità ed intensificazione tra ogni singola vertebra ed uno specifico osso del Cranio. All’osso più delicato e ricco di lamine (es. lo Sfenoide) corrisponderà la vertebra più forte e salda, col corpo più ampio e apofisi meno accentuate (la 7^ cervicale). Nani ad esempio legge le quattro Classi di tetrapodi (esclusi gli Uccelli) attraverso quattro gesti archetipici, collegandoli, seguendo le indicazioni di Steiner, a quattro organi e ai quattro elementi cardine della vita (Azoto, Carbonio, Ossigeno, Idrogeno). I pesci esprimono il moto continuo, sono collegati al Rene, quindi alla pressione osmotica dei liquidi e dei soluti in cui si muovono e all’elemento Azoto. Gli anfibi esprimono il moto discontinuo, il Polmone e il metabolismo del Carbonio (quindi alla strutturazione della vita aerea, non sostenuta da elementi esterni: il Carbonio scuro diventa Diamante diafano, la più dura, pura e strutturata formazione minerale). I Rettili esprimono la delimitazione degli spazi interni (e quindi l’isolamento dal mondo esterno) sono collegati al fegato e all’ossigeno e quindi al metabolismo ossidativo delle sostanze organiche. Infine i mammiferi sono collegati alla circolazione, che in essi diventa doppia e completa, quindi il Cuore e l’elemento Idrogeno. Inoltre divide questi quattro organi in organi dinamici: il Rene e il Cuore (uno continuo e l’altro ritmico) ed organi metabolici: Fegato e Polmoni (anch’essi uno ritmico e l’altro metabolico).

Per gli Uccelli il discorso appare più complesso. Il loro gesto simbolico è l’apertura dell’ala conformata per il volo, gli Uccelli sono ala, sono Volo e sono canto articolato. Negli Uccelli avviene il libero passaggio dal Cosmo all’interiorità, la quale risponde attraverso la melodia. Gli uccelli sono collegati al Cielo alla Luce e a ciò che la fa passare liberamente, quindi non al Fosforo, che tenta di trattenerla, ma al Silicio e poi all’Antimonio che, nella sua “interiorità” sottile tende a fuggire dalla Terra. Inoltre non si dimentichi la navigazione notturna tramite le stelle e quella che si serve del campo magnetico terrestre grazie ai cristalli di magnetite (che è Ferro, sideron). Il sistema organico maggiormente caratterizzato è quello osseo, diverso da tutte le altre Classi.[39]

Infine, un esempio lampante dell’uso del metodo goethiano è la polarità tra Epifisi ed Ipofisi. Considerando gli animali dai Pesci ai Mammiferi si assiste al regresso dell’Epifisi e allo sviluppo dell’Ipofisi. Evidentemente i Pesci sono ancora legati al proprio ambiente in maniera cruciale e sappiamo che l’Epifisi è adibita al collegamento dell’organismo con i ritmi cosmici attraverso il metabolismo della Melatonina (luce-buio; cicli stagionali). L’Ipofisi viceversa, è incentrata fortemente sull’ambiente interno, e inerisce alla reazione interna alle sollecitazioni, sia interne che esterne, attraverso il suo strettissimo legame con l’Ipotalamo. L’Ipofisi infatti, divisa in Adenoipofisi e Neuroipofisi (collegata direttamente all’Ipotalamo, anzi, costituita da cellule nervose), controlla tutte le ghiandole endocrine dell’organismo attraverso le Tropine (Gonadotropina, Tireotropina ecc…), quindi regola soprattutto l’omeostasi interna dell’organismo, e pertanto sottende alla chiusura-interazione rispetto al mondo esterno. Questi erano solo alcuni esempi della fecondità che possono avere gli studi morfologici e delle pesanti implicazioni filosofiche che essi possono avere nel dibattito culturale e nella lotta per i valori che oggi più che mai è di vitale importanza.

Note

[23] Cfr. Biologia molecolare del gene.

[24] Essi sono principalmente tre tipi di fattori con tre forme differenti, chiamati: elica-ansa-elica, a dita di zinco, a cerniera di leucina. Cfr. Biologia molecolare del gene.

[25] Jaques Monod nel suo celebre Il caso e la necessità, così esprime il concetto: «Il codice genetico può dunque essere tradotto solo dai prodotti stessi della traduzione. È questa l’espressione moderna dell’omne vivum ex vivo».

[26] La genetica ha scoperto verso la fine del secolo appena trascorso, il cosiddetto homeobox, il pacchetto di geni omeotici o geni hox, un gruppo di geni che regola la successione dei segmenti corporei in quasi tutti gli organismi animali, regolati da un particolare codice istonico che imprime, durante lo sviluppo embrionale, a partire dalla testa il ritmo di scansione dei segmenti, ritmo riproposto più volte per specificazioni successive anche per i singoli segmenti. Cfr. Biologia molecolare del gene.

Ma anche in questo caso, per continuare la nostra metafora edilizia, i geni hox sono una sorta di “modulo prefabbricato” che viene piegato alle esigenze morfogenetiche dell’uovo a partire dall’induzione primaria (cioè il “segnale” che da il via alla formazione della linea primitiva e del canale neurale) ma il progetto, la forma agisce da un altrove, attraverso il sistema ormonale della madre, da un implicito mondo di informazione, di forme ideali che si esplica nelle forme effettive attraverso questo sistema modulare.

[27] Comparsi praticamente quasi tutti, contemporaneamente, all’inizio dell’Eone Fanerozoico (Cambriano antico o inferiore), circa 600 maf, e con l’aggiunta di altri tre Phyla, tra cui gli Emicordati, antenati dei Vertebrati, una trentina di mla dopo. Questa esplosione clamorosa, senza alcuna traccia di vita nel periodo immediatamente precedente, è forse il mistero più grande di tutta la Biologia.

[28] Corsivo nostro.

[29] È questa, ad esempio, l’idea del “saltazionista” Otto Schindewolf, che riprende e sviluppa idee di R.Goldschmidt (mutazioni sistemiche) e di A.M. Dalcq (ontomutazioni).

[30] Per usare la terminologia del biologo sistematico italiano Alfredo Sacchetti che seguendo la morfologia classica dei Tipi, pensa che il sistematico debba classificare i viventi calcolando la probabilità di trans variazione o di aderenza tipologica, cioè in che percentuale una forma vivente si avvicini o si allontani dal modello tipologico del suo gruppo.

[31] Sappiamo ad esempio che molti Pterosauri avevano le ossa cave, alcuni Sauri probabilmente erano già a sangue caldo ed alcuni, probabilmente, avevano piume (anche se dobbiamo dire che molti dei ritrovamenti di “dinosauri piumati” si sono rivelati dei falsi cinesi!).

[32] Questa dei cerchi concentrici è un’idea di Roberto Fondi (Sermonti-Fondi; Dopo Darwin; Rusconi, 1980, pag. 331), sviluppata approfondendo Fantappiè da un lato e Kleinschmidt e Sacchetti dall’altro. I Taxa sono cerchi concentrici (formenkreis) statisticamente determinati, più o meno transvarianti che interagiscono tra loro in maniera “cibernetica”, diremmo noi Olografica, o informazionale e non meccanica. L’idea del Campo nello spazio morfogenetico invece è nostra.

[33] Kleinschmidt parla di formenkreis, il cerchio delle forme, in cui sono presenti tutte le possibili forme concrete di un Tipo ideale ed il suo decorso temporale (una sorta di cronotopo o continuum spazio-temporale della biologia, sviluppato successivamente dall’italiano Fantappiè servendosi del cronotopo di De Sitter); Dacquè, sulla stessa linea, parla di Urtypus o Urgestalt alla maniera schiettamente goethiana.

[34] Sintropia è un termine coniato dal matematico italiano Luigi Fantappiè negli anni 40’, per distinguerla dall’Entropia. I fenomeni entropici sono quelli ordinari regolati dalla causalità meccanica in cui l’effetto segue la causa nel tempo (onde divergenti, aumento del disordine); quelli sintropici sono quelli in cui, viceversa, la causa si trova dopo l’effetto nel senso che agisce da attrattore, posto nel “futuro”, dei suoi effetti nel passato (onde convergenti, aumento dell’ordine). In gergo filosofico sono le cause finali. Anche il tempo, naturalmente, in questa ottica ha due direzioni, non solo dal passato al futuro ma anche dal futuro al passato (come alcuni fenomeni quantistici di entanglement dimostrano). Tipici di tale tipo di causalità sono i fenomeni biologici e spirituali: Luigi Fantappie, Principi di una teoria unitaria del mondo fisico e biologico, Ed. Di Renzo, Roma 1993; Giuseppe e Salvatore Arcidiacono Sintropia, Entropia, Informazione, Una nuova teoria unitaria della fisica, chimica e biologia, Ed. Di Renzo, Roma 2006.

[35] Ed Antroposofica, Milano 2008, pag 234-235.

[36] R. Steiner, Introduzione agli scritti scientifici di Goethe, Ed. Antroposofica, Milano, 2008, pag. 235.

[37] R. Steiner, Linee fondamentali di una concezione goethiana del mondo, in Saggi filosofici, ed Antroposofica, Milano, pag. 100.

[38] D. Nani; Sincronicità e dinamica della formaconnessioni simboliche nell’anatomia dei Vertebrati; Ed. Il Capitello del Sole; 2001; pag. 39.

[39] Il corsivo è nostro.

 

* Pubblicato sul sito del Centro Studi La Runa in data 21 agosto 2015