Maria. L'impazienza del dono (Lc 1, 39)
Dopo l’Annunciazione, Maria si reca in fretta, attraverso la regione montuosa della Palestina meridionale, in una borgata della Giudea. L’evangelista tace il nome del villaggio che una tradizione del V secolo identifica con Ain-Karim, a sei chilometri ad ovest di Gerusalemme. Ella vi si reca per far visita all’anziana parente Elisabetta, che sei mesi prima era stata liberata miracolosamente dalla sterilità, resa irrimediabile dalla vecchiaia (Lc 1,7ss; 1,36). D’altra parte l’angelo aveva dato a Maria il “segno” di Elisabetta che nella sua vecchiaia aveva concepito.
Il contesto in cui si inserisce il brano è quello della visitazione. Non si tratta di un semplice atto di cortesia e di solidarietà di Maria nei riguardi di Elisabetta. E’ molto di più. Maria è visitatrice perché è stata visitata da Dio. La visita di Maria è una conseguenza della visita che Dio ha fatto a lei attraverso l’angelo. La Madonna è subito in piedi, pronta a partire. La partenza è la conseguenza logica dell’ascolto e dell’accoglienza della Parola di Dio. Il Signore visita sempre il suo popolo e la visitazione di Maria anticipa quella visita di Dio che si prolungherà attraverso la missione affidata ai discepoli da Gesù: l’evangelizzazione. Maria è l’evangelizzatrice per eccellenza. In questo senso visita Elisabetta, ma ogni cristiano è visitatore, è evangelizzatore perché ciascuno è continuamente sotto le attenzioni e le cure del Padre celeste.
Maria ci fa comprendere che il credente è uno che si pone a totale disposizione di Dio. Si fida di Lui. Si fida delle sue parole come dei suoi silenzi, della sua presenza come della sua assenza, dei suoi interventi e dei suoi ritardi, spesso insopportabili. Maria non ha scambiato i ruoli: accolto il Signore, si è dichiarata “serva”. Potrà contare sempre su Dio, perché Dio potrà contare sempre su di lei.
Maria fa un cammino di circa 145 chilometri. Una giovane donna non viaggiava mai sola in Palestina specie per distanze cosi lunghe. Deve essersi unita ad una carovana di pellegrini in viaggio verso la capitale. E poi da lì voltare a destra verso Ain-Karim. Almeno tre giorni di viaggio. Si possono facilmente immaginare i sentimenti di Maria: gli stessi che esprimerà nel Magnificat, ma anche apprensione, ricerca delle parole per comunicare il dono che custodisce nel grembo, ad Elisabetta che, dalle parole dell’angelo era comunque in comunità di destino con lei. Due donne che custodiscono un dono divino difficile da condividere con altri: una sterile guarita l’una, una vergine in attesa per opera dello Spirito Santo, l’altra.
Maria in viaggio richiama l’immagine dell’arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. L’arca, che custodiva le tavole con le dieci parole di Jhwh, seguiva la marcia della carovana nell’epoca nomadica. Un Tempio nomade. Quando Israele si è stabilito nella terra, divenendo popolo sedentarizzato, e ha costruito il Tempio, l’arca vi è stata collocata con tutte le stanghe che servivano per il trasporto, ad indicare una disponibilità a sempre nuove partenze. Al popolo di Dio, al credente, non è concesso di essere sedentario. L’esodo costituisce lo statuto della vita cristiana spinta sempre a cercare nuove mete, dove il Signore vorrà condurci. Maria è l’immagine del primo ostensorio: nel suo grembo verginale il Verbo di Dio prende carne e la Vergine lo porta già in mezzo agli uomini.
“Maria raggiunse in fretta una città di Giuda” (Lc 1,39). La frertta di Maria esprime la sua ansia di evangelizzare, di portare ad altri il dono accolto .L’Emmanuele è già il “Dio con noi” perché quella fanciulla, con il suo “si” ha permesso l’incarnazione del Verbo eterno di Dio ed ora offre le sue gambe, la sua voce, la sua vita a Dio per il bene dei fratelli. La fretta di Maria è urgenza di portare il Vangelo. Questa “fretta”, questa ansia pastorale, diventa motivo di riflessione per noi. La nostra vita di battezzati si concretizza nell’attenzione ai bisogni dei fratelli? O piuttosto siamo focalizzati sulle nostre necessità? Sentiamo l’urgenza della evangelizzazione, dell’annuncio della Parola divina o ci limitiamo alle pratiche sacramentali e trasciniamo la vita cristiana con un ritmo uniforme, rallentato, stanco, annoiato? Siamo timidi, esitanti o profeti che avvertono la bellezza e l’importanza del messaggio che rechiamo?