Non inducere nos in tentationem: è giusto così!

Scritto da Francesco di Maria.

E’ Dio stesso, lo Spirito Santo a indurre Gesù in tentazione, a spingerlo verso la tentazione, a portarlo nel bel mezzo della tentazione diabolica. A dirlo concordemente sono i vangeli di Marco 1, 12-13, di Matteo 4, 1 e di Luca 4, 1. Gesù sapeva che, dopo essersi battezzato nel fiume Giordano, la volontà del Padre suo prevedeva che egli si sottoponesse a tutta una serie di tentazioni sataniche o, che è lo stesso, di prove (perché la tentazione altro non è se non una prova), affinchè fosse capace di cementare la sua unione con Dio, e più esattamente si esercitasse a far convergere perfettamente la sua natura umana con la sua natura divina. Questo episodio evangelico, ma la Bibbia è piena di episodi in cui Dio induce in tentazione e sottopone alla prova i suoi figli migliori, è emblematico per noi cristiani e cattolici: per servire Dio, per appartenere a Dio, per essere di Dio, nel caso di Gesù per essere realmente figlio unigenito di Dio, non possiamo evitare di essere sottoposti alle tentazioni del mondo, perché solo chi impara a resistere alle tentazioni sataniche del mondo, può meritare agli occhi di Dio di far parte dei “figli della luce”.

Senza tentazione la nostra libertà non può esplicarsi o manifestarsi e realizzarsi al meglio o nella pienezza delle sue potenzialità, là dove Dio esige che le sue creature aderiscano alla sua volontà e alla sua legislazione per mezzo della loro incondizionata libertà. Per farcelo comprendere, ha voluto che fosse addirittura non una creatura ma il suo stesso riflesso, la sua stessa increata e semplicemente generata proiezione ontologica, ovvero il suo Messia, a darcene un esempio eclatante e definitivo.

Naturalmente, il Signore, che conosce bene le nostre debolezze e le nostre inclinazioni al male, pur richiedendo una graduale ma sempre più decisa e risoluta purificazione dai nostri peccati, non ci lascia soli nelle e con le nostre quotidiane tentazioni che non potremmo mai affrontare con le nostre sole forze, ma ci elargisce quella grazia e quello spirito fortificante che possano sorreggerci nella nostra lotta contro il male, di cui il maligno è parte integrante, pur senza compromettere la nostra libertà e quindi la nostra libera e incondizionata volontà di non soggiacere passivamente a tutto ciò che rientra nel nostro orizzonte egocentrico, come pulsioni, passioni, tendenze psicologiche e caratteriali, sentimenti e ambizioni più o meno incontrollati e contrastanti con i princìpi e i precetti divini.

A Dio ci si avvicina, in altri termini, lottando contro ciò che è male, non disconoscendolo o razionalizzandolo ma affrontandolo concretamente come ostacolo oggettivo alla nostra santificazione e alla nostra eterna salvezza in Dio stesso. Ma anche l’uomo è o deve essere consapevole dei suoi limiti, della sua incapacità a vincere contro le forze sataniche e contro le forze irrazionali e puramente emotive che agiscono nella vita e in noi stessi, per cui, al fine di poter combattere validamente e con concrete possibilità di successo contro di esse, non una volta ma sempre, non può fare a meno di rivolgersi al Signore con la preghiera che Gesù per primo avrebbe rivolto al Padre: “Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male”, in greco, che riproduce fedelmente il testo in aramaico, “kài mè eisenènkes hemàs eìs peirasmòn”, ovvero non spingerci, non portarci proprio dentro la tentazione che è più forte di noi, che è più potente della nostra debole volontà; noi questo lo riconosciamo, senza di te siamo solo alla mercè del peccato, del vizio, della perversione, di ogni possibile iniquità: dunque non indurci a fronteggiare situazioni che ci vedrebbero irrimediabilmente perdenti ma aiutaci tu a resistere, a non essere troppo succubi delle tentazioni della nostra vita, del nostro stesso io, non permettere che veniamo schiacciati dai peccati, ma dacci la forza di reagire, di lottare, di conformare quanto più possibile la nostra volontà alla tua volontà divina di Padre che ci ama fino al punto di volerci rendere immortali come se stesso.

Insomma, Signore e Padre, non sollecitarci ad orientare la nostra esistenza verso prove troppo difficili per le nostre possibilità spirituali: non indurci a desiderare né potere, né ricchezza, né celebrità, né sesso, né ammirazione, e non indurci ad innamorarci di noi stessi, anche se fossimo giusti, misericordiosi, santi, perché in tutti questi ambiti e casi saremmo e spesso siamo degli sconfitti.

Non fare che noi, non tenendo a bada il nostro amor proprio, il nostro orgoglio, la nostra superbia, la nostra stessa possibile “superiorità spirituale”, finiamo poi per dover affrontare prove troppo pesanti e per dover pagare lo scotto di nostre deteriori abitudini di vita o di nostre improvvide scelte. No, Padre, tu che ci conosci intimamente, e sai quel che possiamo o non possiamo fare, non muovere i nostri pensieri e i nostri atti in funzione di circostanze, di eventi, che probabilmente non potremmo sopportare e di cui non potremmo né sapremmo farci carico, ma liberaci dal male, da tutto ciò che potrebbe condannarci al peccato, alla colpa, alla dannazione eterna.

Cosa c’è di sbagliato in questo passo del “Pater Noster”, cosa c’è di sbagliato nella traduzione dei nostri avveduti e saggi antenati? La traduzione è assolutamente valida, sensata e soprattutto fedele alle parole di Cristo, che poco prima di morire, nel Getsemani, avrebbe ripetuto lo stesso concetto anche se con parole diverse: “Padre, non la mia volontà sia fatta, ma la tua”. Come dire: Padre, non indurmi ancora una volta, dopo le tentazioni del deserto, alla tentazione di soccombere al mio desiderio di non morire e di continuare a vivere, anche perché sai bene che non è giusto che tuo figlio debba morire e morire in questo modo, cioè sulla croce, ma, ti prego, liberami da questa tentazione e dal male che incombe più che mai in questo momento sulla mia persona.

Papa Francesco, non c’è nulla da cambiare! C’è invece ancora molto da capire, da sentire, da soffrire, da pregare, perché ognuno di noi non si illuda, in nessun caso e quale che sia il ruolo assolto nella Chiesa come nella vita, di essere un “prediletto” di Dio. E tu, Dio mio, non indurmi nella tentazione di credere che adesso io abbia compiuto un nobile atto in tua difesa e in difesa del tuo popolo, ma liberami da questa tentazione infliggendomi un cammino penitenziale che non mi privi della possibilità di vivere per sempre con te e per te.