Papa Francesco idolo di Repubblica*

Scritto da Giovanni Sallusti.

Si sono svegliati particolarmente preoccupati per le sorti del cattolicesimo, ieri a Repubblica. Uno stato di ansia che ha trovato sfogo surrealista nel titolone "Cattolici a un bivio: il Papa o Salvini". Chi riuscisse a superare l' effetto comico involontario e si chiedesse quale sia il punto, trattasi del seguente: l'intollerabile adesione dell'«elettorato cattolico» al «format propagandistico salviniano», che esercita su di esso «un effetto ipnotico». I gonzi cattolici, secondo la severa lezione teologica impartita dai laicisti di Repubblica, non si rendono conto che la Lega è ormai un «partito anti-cristiano».   

Il perché è lampante: si oppone alla dottrina di Papa Francesco in materia di immigrazione. O meglio: in materia di deflagrazione incontrollata dei flussi. Ieri Bergoglio ha celebrato (l' ennesima) messa dedicata ai migranti e agli operatori dell' accoglienza. Nella redazione di Rep avranno stappato lo champagne, visto che con l' articolo di Alberto Melloni si erano spinti perfino a reclamare un sinodo ad hoc contro Salvini, in nome dell'«obbedienza al Vangelo» (un testo diventato di moda da quelle parti da quando il Fondatore Scalfari s' inventa più o meno a capocchia interviste con l' attuale Papa). Ecco, non vorremmo rovinare il brindisi, ma non possono non venirci in mente due uomini, d' intelletto e di Chiesa, che una lievissima infarinatura del testo evangelico ce l' avevano, o ce l' hanno. Trattasi di tali Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger.

Il primo, Giovanni Paolo II il grande, scriveva nell'enciclica Ecclesia in Europa (2003) parole che certo oggi gli varrebbero la scomunica dell'Inquisizone politicamente corretta. «Il crescente fenomeno delle immigrazioni stimola l'intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d' una integrazione possibile». Ordine e legalità, integrazione possibile e non apertura aprioristica, siamo già semanticamente in tutt' altro campo rispetto alla riduzione caricaturale della Chiesa a portavoce delle ong, che gratta gratta è la visione di Repubblica. Ma Wojtyla rincara: «È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L' accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi». Per essere chiari: la forzatura del porto di Lampedusa e di ogni autorità statuale da parte dell' invasata Carola Rackete sarebbe stata per il Papa polacco un «abuso», da perseguire con «ferma repressione».

Poi c' è Benedetto, certo. C' è quel pensiero folgorante proprio in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, dieci anni dopo le riflessioni del predecessore: «Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». Questo perché «molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un "calvario" per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria». C' è una gigantesca ferita nella coscienza mondiale chiamata Africa, ed è su quella che scafisti e trafficanti di uomini speculano.

Il punto sarebbe affrontare la prima, non agevolare il lavoro dei secondi. In ogni caso, per Ratzinger «il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono». Anzitutto, la sacralità della vita umana e l' uguale dignità di ogni persona. «Non si tace sul Vangelo», intima Repubblica. E né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI tacevano. Ma forse avevano letto un' edizione diversa. Oppure erano due biechi criptosovranisti anticristiani.

Si sono svegliati particolarmente preoccupati per le sorti del cattolicesimo, ieri a Repubblica. Uno stato di ansia che ha trovato sfogo surrealista nel titolone "Cattolici a un bivio: il Papa o Salvini". Chi riuscisse a superare l' effetto comico involontario e si chiedesse quale sia il punto, trattasi del seguente: l'intollerabile adesione dell'«elettorato cattolico» al «format propagandistico salviniano», che esercita su di esso «un effetto ipnotico». I gonzi cattolici, secondo la severa lezione teologica impartita dai laicisti di Repubblica, non si rendono conto che la Lega è ormai un «partito anti-cristiano».

Il perché è lampante: si oppone alla dottrina di Papa Francesco in materia di immigrazione. O meglio: in materia di deflagrazione incontrollata dei flussi. Ieri Bergoglio ha celebrato (l' ennesima) messa dedicata ai migranti e agli operatori dell' accoglienza. Nella redazione di Rep avranno stappato lo champagne, visto che con l' articolo di Alberto Melloni si erano spinti perfino a reclamare un sinodo ad hoc contro Salvini, in nome dell'«obbedienza al Vangelo» (un testo diventato di moda da quelle parti da quando il Fondatore Scalfari s' inventa più o meno a capocchia interviste con l' attuale Papa). Ecco, non vorremmo rovinare il brindisi, ma non possono non venirci in mente due uomini, d' intelletto e di Chiesa, che una lievissima infarinatura del testo evangelico ce l' avevano, o ce l' hanno. Trattasi di tali Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger.

Il primo, Giovanni Paolo II il grande, scriveva nell'enciclica Ecclesia in Europa (2003) parole che certo oggi gli varrebbero la scomunica dell'Inquisizone politicamente corretta. «Il crescente fenomeno delle immigrazioni stimola l'intera società europea e le sue istituzioni alla ricerca di un giusto ordine e di modi di convivenza rispettosi di tutti, come pure della legalità, in un processo d' una integrazione possibile». Ordine e legalità, integrazione possibile e non apertura aprioristica, siamo già semanticamente in tutt' altro campo rispetto alla riduzione caricaturale della Chiesa a portavoce delle ong, che gratta gratta è la visione di Repubblica. Ma Wojtyla rincara: «È responsabilità delle autorità pubbliche esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione delle esigenze del bene comune. L' accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi». Per essere chiari: la forzatura del porto di Lampedusa e di ogni autorità statuale da parte dell' invasata Carola Rackete sarebbe stata per il Papa polacco un «abuso», da perseguire con «ferma repressione».

Poi c' è Benedetto, certo. C' è quel pensiero folgorante proprio in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, dieci anni dopo le riflessioni del predecessore: «Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra». Questo perché «molte migrazioni sono conseguenza di precarietà economica, di mancanza dei beni essenziali, di calamità naturali, di guerre e disordini sociali. Invece di un pellegrinaggio animato dalla fiducia, dalla fede e dalla speranza, migrare diventa allora un "calvario" per la sopravvivenza, dove uomini e donne appaiono più vittime che autori e responsabili della loro vicenda migratoria». C' è una gigantesca ferita nella coscienza mondiale chiamata Africa, ed è su quella che scafisti e trafficanti di uomini speculano.

Il punto sarebbe affrontare la prima, non agevolare il lavoro dei secondi. In ogni caso, per Ratzinger «il cammino di integrazione comprende diritti e doveri, attenzione e cura verso i migranti perché abbiano una vita decorosa, ma anche attenzione da parte dei migranti verso i valori che offre la società in cui si inseriscono». Anzitutto, la sacralità della vita umana e l' uguale dignità di ogni persona. «Non si tace sul Vangelo», intima Repubblica. E né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI tacevano. Ma forse avevano letto un' edizione diversa. Oppure erano due biechi criptosovranisti anticristiani.

 

* Pubblicato in "Libero" del 10 luglio 2019. Il titolo completo dell'articolo è: Papa Francesco idolo di Repubblica, la vergogna: in cosa hanno trasformato Jospeh Ratzinger