Verso il quinto dogma mariano
Com’è noto, quattro sono a tutt’oggi i dogmi mariani riconosciuti e promulgati dalla Chiesa: la maternità divina di Maria, la sua perpetua verginità, il suo essere l’Immacolata Concezione, la sua assunzione in cielo in corpo ed anima. Maria, essere finito, ha generato l’infinito e, generandolo, lo ha reso umano e quindi mortale, perché chiunque nasca da donna è destinato a perire. Com’è possibile che il finito possa generare l’infinito dal momento che la logica comune ci dice che può essere vero solo il contrario? La risposta viene dalla logica evangelica secondo la quale nulla è impossibile a Dio. Dio ha creato quel prodigioso essere finito che fu Maria rendendolo idoneo a favorire l’incarnazione dell’infinito nella storia. Se nulla è impossibile a Dio, Dio può anche determinare la situazione in cui e per cui egli stesso, pur rimanendo infinito e immortale, possa sottoporsi alla nascita e alla morte come qualunque essere umano, per esercitare la sua onnipotenza anche e persino attraverso la morte e per riprendersi o ritrovare attraverso questo infimo passaggio dell’umana esistenza la sua eterna immortalità. Questa è una delle straordinarie meraviglie della divina onnipotenza verificatesi nel corpo e nell’anima di una semplice e umile donna di Nazaret, anche perché fosse chiaro al genere umano che il destinatario ultimo dell’infinito amore divino è l’uomo e non semplicemente l’uomo come era stato pensato nel momento della creazione ma l’uomo che pecca e si rivolta contro il suo Creatore pur rimanendo ugualmente e permanentemente dipendente da Lui.
Per l’uomo Dio si mostra pronto a nascere e a morire come lui, a vivere e a soffrire come lui e più di lui. E’ come se Dio Padre avesse detto a Maria: “Figlia, io non vi ho creati per lasciarvi morire nel peccato. Tutto quel che posso fare per salvarvi, nel rispetto della vostra libertà personale, io lo voglio e lo devo fare. Ti mando mio Figlio unigenito, l’Eccelso, in onore e in funzione del quale io ho creato voi perché foste simili a lui in un libero rapporto d’amore e di obbedienza, benché voi abbiate preferito una strada diversa, quella della ribellione e dell’autosufficienza. Te lo mando, facendolo nascere nel tuo grembo e consegnandolo a tutte le sofferenze del mondo, perché gli uomini sappiano quanto sono amati da Chi li ha creati e conserva ogni potere su di loro, e sino a che punto Dio sacrificandosi come Figlio sia disposto ad abbassarsi pur di riportarli in cielo. Figlia, ti ho scelto perché nella tua piccolezza e nella tua semplicità, ma anche nella tua fede sincera e indistruttibile, tu sia partecipe dell’infinita potenza di Dio cooperando al meglio delle tue forze e della tua volontà alla costruzione terrena e insieme celeste del suo Regno e condividendo sin da ora quella suprema regalità divina di cui non puoi e non potrai che essere la principale beneficiaria tra tutte le creature umane e persino tra le creature celesti. Io ti dò Dio perché tu dia Dio a tutta l’umanità. Voglio che tu sia la madre di Dio perché attraverso la tua maternità fisica e soprattutto spirituale Dio possa generarsi e rigenerarsi continuamente nel cuore di ogni singolo essere umano e possa essere conosciuto e amato sempre meglio per la sua umiltà e la sua misericordia infinite”.
Maria perciò avrebbe generato Gesù da vergine, giacché la madre del tre volte santo non poteva essere che vergine, e solo con l’aiuto dello Spirito Santo, e vergine sarebbe rimasta sino alla fine nel corpo e nello spirito non perché non tentata dalla carne ma perché talmente fortificata spiritualmente dallo Spirito di Dio da resistere a tutti i desideri impuri della carne. Sarebbe stata e rimasta vergine anche e principalmente nel suo sentimento religioso e nella sua fede, su cui non si sarebbero mai proiettati una paura nevrotica della propria fragilità esistenziale, un senso alterato sino a limiti patologici della propria dipendenza da Dio, un bisogno maniacale di colmare evidenti carenze psicologiche di natura affettiva con una dilatazione abnorme ed errata dell’immagine di Dio stesso. La fede di Maria si emancipa subito da quella religiosità che si nutre ancora oggi, tra semplici credenti ma talvolta anche tra esponenti del clero, di ossessioni psichiche e nervose, di una scrupolosità quasi meccanica e abitudinaria, di rilevanti frustrazioni o disturbi esistenziali che tendono a spingere il credente o il religioso più verso un quadro clinico che non verso un sereno ordine spirituale. Maria non patisce la sottomissione a Dio come una costrizione o come una pena ma la vive con naturalezza come una liberazione da ogni male e da ogni concreto pericolo e come una vera e propria benedizione divina.
Maria coltiva una fede serena, pulita, gioiosa, seria, non contaminata da elementi patologici, una fede assolutamente consapevole, responsabile, matura e operosa in qualunque situazione del vivere, una fede verginale dunque perché libera da pressioni e condizionamenti negativi o per cosí dire eteronomi e prodotta solo da un’intelligenza aperta da sempre alle verità di Dio e da una coscienza altrettanto limpidamente protesa verso il compimento del bene a Dio gradito. La fede di Maria è verginale perché alimentata dalla capacità spirituale di rinnovare entusiasticamente ogni giorno la propria fede in Dio, perché sostenuta dalla saggia e giusta convinzione che amare Dio comporta la disponibilità interiore a riascoltarne sempre di nuovo la parola, senza dare per scontato di averne colto ormai tutto il significato e di aver intrapreso un cammino infallibile o irreversibile con lui e verso di lui.
Una madre siffatta avrebbe potuto essere figlia, sposa e madre perpetuamente verginale di Dio perché misteriosamente non soggetta al peccato originale e dunque perché più immune, rispetto a tutte le altre creature, dalle lusinghe e dalle seduzioni della carne. Ella infatti è giustamente ritenuta l’Immacolata Concezione, una creatura speciale che continua ad essere pura e senza macchia nella sua vita terrena come lo era nella mente di Dio prima che la creasse, una creatura naturale ma già sovrannaturale perché destinata ad essere assunta in cielo in corpo e anima subito dopo la sua morte e a condividere per l’eternità la regalità divina del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo come regina degli esseri celesti e degli esseri terreni, degli angeli, dei santi e di tutte le creature che avranno accesso al banchetto celeste.
Ma Maria fu anche colei che, addolorata ai piedi della croce, ebbe da Gesù il compito di fungere da madre spirituale dell’umanità: come dire che da quel momento in poi tutti coloro che, consapevoli delle proprie necessità e colpiti dal dolore, si fossero rivolti fiduciosamente a lei ottenendo di essere accolti nel suo cuore, avrebbero potuto certamente usufruire della particolare e tempestiva misericordia di Dio stesso. Ai piedi della croce, si badi: non prima di quel momento ma nel momento stesso in cui il Salvatore è debole, moribondo, indifeso, piccolo in tutti i sensi. Maria viene designata da Cristo madre nostra nel momento della sua estrema sofferenza e ciò significa che ella è madre non in senso generico ma più specificamente è madre di uomini e donne sofferenti come Cristo e in Cristo, sofferenti per la stessa causa di Cristo, anche talvolta quando siano ancora inconsapevoli di essere legati interiormente a Cristo. Ella è madre dei “piccoli” e ha facoltà di chiedere e ottenere grazie ordinarie e grazie speciali per loro, specialmente per quelli che sanno essere più vicini e più fedeli al figlio suo benedetto.
Ecco perché sarebbe ormai opportuno che la riflessione teologica della Chiesa giungesse a riconoscere e a conferire a Maria un quinto titolo, richiesto da un numero sempre crescente di fedeli e di uomini di Chiesa: quello relativo allo “speciale ruolo materno di Maria nella salvezza dell'umanità”. E’ infatti da segnalare che «nel 2009, Cardinali e Vescovi di ogni continente hanno chiesto a Benedetto XVI di prendere in considerazione la promulgazione del dogma sulla maternità spirituale di Maria nei suoi tre aspetti essenziali di corredentrice, mediatrice di tutte le grazie e avvocata. Si è giunti a ciò dopo che cinque Cardinali hanno scritto ai Vescovi di tutto il mondo pregando di richiedere al Santo Padre un quinto dogma mariano» (Robert Moynihan, Sono maturi i tempi per un quinto dogma mariano?, in “Zenit” del 3 marzo 2010). E’ vero che alcuni vescovi occidentali «considerano una definizione mariana potenzialmente controproducente per l'ecumenismo» (Ivi), ma è altrettanto vero che altri vescovi «hanno risposto pubblicamente a questa obiezione dichiarando che proclamare tutta la verità sulla Madre di Gesù non farà altro che favorire l'unità cristiana basata su un'unità di verità e fede» e l’unità stessa del genere umano (Ivi).