Vescovi di quale Dio?
Circa un anno fa, ancora molto lontani dall’epidemia che avrebbe colpito l’umanità, i cattolici si sentivano dire dal papa regnante che i vescovi, lungi dall’esercitare una funzione meramente amministrativa e dall’estraniarsi quindi sostanzialmente dalla vita spirituale e religiosa della Chiesa, dovevano rendersi parte integrante di essa restando concretamente o fattualmente vicini a sacerdoti e credenti o fedeli diocesani. Era l’ennesimo ed autorevole appello che un papa rivolgeva al popolo di Dio, ai vescovi perché fossero umanamente, spiritualmente, sacramentalmente e nei limiti delle proprie possibilità anche materialmente vicini a religiosi e laici, ma anche ai presbiteri perchè fossero uniti e solidali tra loro e nei confronti di diocesani e parrocchiani, specialmente i più fragili e bisognosi, e infine ai fedeli perché a loro volta fossero capaci di contraccambiare e praticare quello stesso spirito di carità in ogni ambito della loro esperienza quotidiana.
Il ministero è un dono, diceva il papa, che non va trascurato in nessuna circostanza ma che può ricevere colpi mortali dal denaro come dal pettegolezzo, dalle chiacchiere, dalle discussioni inutili e faziose. Anche per questo, osservava il papa, il primo compito del vescovo come di altri soggetti religiosi e degli stessi membri della comunità ecclesiale dev’essere la preghiera, ovvero la vicinanza a Dio, senza la quale nulla è possibile fare. Ma da cosa poteva comprendersi se la preghiera fosse innalzata a Dio con amore e vera partecipazione spirituale e non solo in modo meccanico o abitudinario? Dagli effetti prodotti.
Se una preghiera è sana, santa, sincera, non potrà indurre per esempio un vescovo a non ricevere prontamente un sacerdote che gli abbia chiesto un incontro o a rinviare nel tempo l’esame di qualche urgente questione sollevata da questa o quella parrocchia diocesana. Se la preghiera del vescovo, dei presbiteri e dei diaconi come di tutti i fedeli, è mossa da vero spirito di amore e di fedeltà a Dio e ai suoi divini comandi, ogni manifestazione di supponenza o di pigrizia, di disinteresse anche solo parziale o di insensibilità, di gelosia e prevaricazione, dovrà risultare assente o suscettibile di essere rimossa con la dovuta risolutezza.
Naturalmente, l’esortazione conclusiva del papa era per i fedeli: a pregare per i vescovi e i preti, “per i vostri dirigenti” (sì, dirigenti era il termine improprio usato da papa Francesco), per “quelli che vi conducono sulla via della salvezza”. E chiedeva in modo provocatorio: “Voi pregate per i vostri sacerdoti, per il parroco, per il vice parroco, o soltanto lo criticate?” (D. Donnini, Santa Marta. Il Papa: il vescovo sia vicino al popolo di Dio, in Vatican News, 20 settembre 2019).
Oggi, a distanza di circa un anno, quelle riflessioni pontificie, nell’attuale situazione di pandemia, a molti di noi suonano del tutto vuote e prive di valore apostolico ed educativo, perchè nel frattempo, con il decisivo impulso e avallo pontifici, la Conferenza Episcopale Italiana, sia pure con qualche timido e per niente convinto cenno di insofferenza e di protesta per i provvedimenti governativi anticovid coinvolgenti pesantemente la complessiva attività religiosa della Chiesa Cattolica italiana, è venuta decretando l’adozione di misure sanitarie non solo incontrovertibilmente antitetiche al principio costituzionale della libertà religiosa e della libertà dello stesso culto cattolico ma, innanzitutto e soprattutto, contrarie al principio evangelico del dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
La preghiera, la fede, evangelicamente superiori a qualunque timore umano, hanno ceduto il passo alla prudenza sanitaria, al realismo scientifico che individua anche nelle libere e non “protette” assemblee ecclesiali di segno cristiano e cattolico fonti probabili di seri contagi di massa, donde la decisione di tutti i vescovi di consentire solo messe celebrate in presenza di individui mascherati, con obbligo di lavarsi le mani con liquido igienizzante badando bene a svuotare le acquasantiere, di prendere la Santa Eucaristia in mano e non direttamente in bocca e di sottoporsi ad ogni inizio di celebrazione eucaristica a verifica della temperatura corporea a mezzo termo scanner. Questo è tutto ciò che, nell’odierna pratica religiosa cattolica, resta di quella fede grande appena come un granello di senape che, come dice Gesù, potrebbe ottenere tuttavia qualunque grazia, ivi compresa la protezione efficace dal coronavirus (Lc 17, 6).
I vescovi italiani hanno manifestato e continuamente ribadito sin da marzo 2020 il loro preminente interesse per la salute fisica di cittadini e credenti, non certo per la loro salvezza spirituale, allineandosi perfettamente con quanto stabilito nel protocollo d’intesa sottoscritto dal governo e dalla CEI. Anzi, bisogna notare con rammarico che molte diocesi e relative parrocchie sono risultate più realiste del re, dal momento che esse, non dando certo una straordinaria dimostrazione di fede, hanno voluto assumere per i fedeli misure addirittura non previste e non prescritte esplicitamente dal suddetto documento, come ad esempio l’uso sistematico del termoscanner per il rilevamento della temperatura corporea oppure la somministrazione della Santa Eucaristia sulle mani e non sulla lingua del comunicando.
Ma in questo modo Gesù Cristo, pur proclamando la fede in lui, di fatto viene come rimosso: diciamo di credere in lui ma, non appena le onde del mare cominciano ad alzarsi e a mettere in pericolo la nostra vita corporea, cominciamo ad affondare nell’abisso della nostra pochezza umana, della nostra incredulità, della nostra sfiducia persino verso Colui che può salvarci dalla morte. Uomini di poca fede, direbbe Gesù: ho dato la mia vita per voi, sono e sarò sempre con voi, ma voi ve ne dimenticate e continuate a temere di essere soli e di poter essere stroncati mortalmente persino da un minuscolo virus! Ecco: in quale Dio i cattolici contemporanei credono veramente? Quale Dio viene annunciato dai nostri vescovi? La Chiesa fondata da Cristo è ancora di Cristo e con Cristo o si sta allontanando dalla sua divina Parola e sta contravvenendo alla sua divina volontà? Vescovi, presbiteri e credenti in genere di quale Dio sono, a quale Dio appartengono? Ad un Dio che debba occuparsi fondamentalmente della loro vita terrena o ad un Dio capace di salvare ben al di là di tutti i pericoli e degli stessi limiti mortali di essa?
Ha un senso religioso non già l’ottemperare a determinate regole di prudenza, anche evangelicamente necessarie a destreggiarsi tra le innumerevoli insidie dell’esistenza, ma il fare a meno di accostarsi alla Santa Eucaristia nel modo più rispettoso e gradito a Dio? Ha senso religioso che il vicario di Cristo, ripreso da tutte le televisioni del mondo, se ne vada solo soletto su piazza san Pietro a fare sotto una pioggia battente la sua preghiera e a tenere la sua orazione? Ha senso religioso una Chiesa senza popolo sofferente e tuttavia fiduciosamente presente ed orante nella Casa di Dio? Ha senso religioso l’apatia spirituale dei vescovi italiani non solo disposti ad accettare passivamente i divieti sanitari dello Stato ma anche orientati ad essere persino più restrittivi di quest’ultimo, al fine di tutelare, dicono, nel miglior modo possibile la salute di cittadini e credenti, ivi compresa la propria? Non bisognerebbe piuttosto che la comunità ecclesiale nel suo insieme invocasse coralmente e pubblicamente il Signore di perdonare i peccati dell’umanità, della stessa famiglia cattolica, e di risparmiare al genere umano ulteriori flagelli, che la scienza medica non sembra ancora in grado di poter fronteggiare in modo sicuro ed efficace?
Non vedono il papa e i vescovi come il loro realismo sanitario, il loro presunto senso di responsabilità sociale e la loro connessa diserzione apostolica e pastorale stia provocando una enorme disaffezione spirituale ed ecclesiale nell’animo di una moltitudine di fedeli, con chiese sempre più vuote, sacramenti sempre meno richiesti e desiderati, sacerdoti sempre più disimpegnati dal punto di vista pastorale e missionario? Come faranno costoro a testimoniare ancora in modi attendibili, posto che vi siano riusciti in passato, la vittoria della vita sulla morte e della gioia sul dolore, qualunque cosa succeda ai nostri corpi mortali e alle nostre effimere vite terrene?
Andranno criticati, per riprendere la domanda provocatoria del papa, vescovi e presbiteri per quel che fanno o non fanno? La risposta è che, visto che c’è un papa che ne avalla il sostanziale ed ipocrita assenteismo o disimpegno pastorale e sacramentale, essi non solo possono ma devono essere severamente redarguiti dalla comunità di cui dovrebbero essere esempi virtuosi di carità e santità e di cui invece costituiscono oggi pesanti zavorre di tiepidezza evangelica e di disinteresse pastorale. Ma soprattutto, se non siamo in errore, Signore, ti imploriamo ancora una volta così: exurge Domine! Non con le motivazioni che addusse il tuo servo Leone X, ma semplicemente per pregarti con accorato sentimento filiale di indurre tanti tuoi “inutili servi” a destarsi dal loro sonno evangelico e apostolico e a riprendersi cura del tuo gregge sofferente e disorientato.