Guardarsi dagli altri
Cristianamente parlando, gli uomini sono tenuti non solo ad amare altruisticamente e disinteressatamente il loro prossimo, da non intendere in senso generico e astratto come il simile o l’altro ma specificamente e concretamente come colui o colei o coloro che in una determinata situazione possono avere bisogno del loro aiuto, conforto, carità, ma anche a guardarsi, a tenersi a distanza da situazioni ed individui manifestamente malvagi, empi, perversi o immorali, benchè i seguaci di Cristo siano presenti nel mondo “come pecore in mezzo ai lupi” (Mt 10, 16), come persone candide, oneste, leali, schiette, senza pregiudizio e senza malizia per alcuno, ma proprio per questo facilmente esposte alla maldicenza, alla cattiveria e alla ipocrisia, all’odio e persino a forme velate o manifeste di persecuzione. Per questo motivo, non sarà certo inopportuno che i testimoni di Gesù cerchino di essere cauti, prudenti ovvero anche astuti o furbi come i serpenti oltre che limpidi, chiari e irreprensibili nella loro testimonianza.
Professare la verità, compiere il bene, praticare la giustizia, nel vincolo dell’amore al Dio trinitario, ovvero il compito che ogni battezzato in Cristo riceve da lui, non è né semplice, né rassicurante, né facilmente realizzabile, anche se il mondo sembra chiedere a gran voce trasparenza di discorsi e di comportamenti, solidarietà economica e sociale in relazione a non abbienti o indigenti, uguaglianza e pace. Le richieste del mondo sembrano vere, giuste, legittime, ma non di rado sono false, ipocrite, mosse da interessi egoistici e funzionali a scopi o disegni inconfessabili. Ed ecco perchè, quando ad essere portata nel mondo è realmente la parola del vangelo, la verità non manipolata di Cristo, molti cominciano a sentirsi infastiditi, irritati, a girare lo sguardo da un’altra parte pur professandosi magari cristiani essi stessi, ma non di rado anche a reagire polemicamente, offensivamente, velenosamente.
Il vero cristiano, pertanto, non sarà mai un uomo tranquillo nel senso ordinario del termine, mai un uomo abituato ad una sorta di quietismo interiore, e ancor meno un uomo portato a vivere con una certa indifferenza le molteplici brutture della vita e del mondo. Egli non sarà mai al riparo da sofferenze, sconfitte, insuccessi e fallimenti, anche perché non sarà mai alla corte di potenti o malfattori di varia natura, se non per ammonirli e diffidarli dal voler andare verso la loro sicura rovina, né coltiverà una mentalità curiale incapace di entrare nella carne delle problematiche umane, né infine si assoggetterà a logiche compromissorie e meschine che potrebbero solo allontanarlo dai comandamenti divini.
Tutto questo, tuttavia, se da una parte non deve spaventare i cristiani e distoglierli da un sincero cammino di fede, dall’altra richiede attenzione, prudenza, scaltrezza, intelligenza, capacità di destreggiarsi nelle complicate vicende terrene senza mai rischiare o rischiando il meno possibile di tradire il divino Maestro. Insomma, essi devono essere pronti a tutto, a qualunque sacrificio e tribolazione, a portare la croce, ma questo non significa che essi debbano essere degli ingenui, degli sprovveduti, degli esseri passivi o incapaci di difendere la propria e l’altrui dignità, e in particolare che debbano propugnare, per un presunto amore della stessa verità evangelica, una sorta di spiritualità ecumenica pronta ad accogliere tutte le istanze, le rivendicazioni, spesso sciocchezze o sirene, della grande famiglia umana.
La stessa predicazione evangelica ha possibilità molto scarse di attecchire in gruppi umani, in ambienti sociali e culturali che sono soliti nutrirsi di prospettive e piaceri mondani, e persino in ambiti religiosi intrisi di superficialità e corruzione. Dovunque non sussista una reale disponibilità all’ascolto, a rimuovere pregiudizi ed errati stili di vita, a fare del proprio agire un coerente anche se fallibile strumento di attuazione dei precetti evangelici, è preferibile rinunciare all’attività apostolica ed astenersi dall’esercitare una missione evangelica. E’ vero che Gesù talvolta operava miracoli anche su soggetti indemoniati e quindi letteralmente posseduti da uno spirito impuro e corrotto, come nel caso dei geraseni, ma è pur vero che proprio quest’ultimi, che costituivano un numero imponente di miscredenti impenitenti, esortano il Signore ad andarsene e a farli vivere nella falsa e turbolenta pace delle loro immonde pratiche di vita. Ma lo stesso ragionamento vale in tanti altri casi: per esempio, là dove si abbia a che fare con generici “uomini di fede” oppure con “uomini di Chiesa” che, in modi diversi, tutto pensano e fanno tranne che l’essenziale degli insegnamenti di Gesù. In tutti questi casi l’avvertimento di Cristo è chiaro e inequivocabile: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi» (Mt 7, 6), il che non toglie tuttavia che occorra sempre limitare al minimo ogni giudizio censorio e pregare anche per quelle anime in cui regni sovrana la confusione spirituale.
I seguaci di Gesù non sono chiamati dunque ad essere esaltati, fanatici, esibizionisti della fede: è la vita nella sua normalità che verrà ogni volta sollecitandoli a dare testimonianza della loro fede, ora in situazioni più agevoli ora in situazioni più difficili o complesse, non sono essi che devono a tutti i costi crearsi o provocare situazioni di conflitto o di pericolo pur di manifestare il loro sincero e appassionato amore verso il Signore. Le difficoltà, le contrarietà, i conflitti, cui oggettivamente un cristiano non può sottrarsi e attraverso cui gli sia quindi possibile e necessario testimoniare la propria fede, nella vita di ogni essere umano non mancano mai e se anche in forme e gradi diversi non possono non procurare seri grattacapi, incomprensioni, ostilità, a chi prende sul serio il suo umilissimo ruolo di soldato della fede in Cristo.
Va tuttavia ribadito che, alla lunga, sarà saggio colui che non si ostinerà a cercare il dialogo o il confronto con coscienze sorde e cieche anche se appartenenti a personalità autorevoli e influenti del mondo sociale e culturale e dello stesso mondo religioso e cattolico. L’importante è che non si rinunci ad annunciare con voce alta e chiara il vangelo, a intervenire sugli orrori e gli errori del mondo, a correggere e incoraggiare gli erranti ancora in buona fede, ad anteporre vitali esigenze del nostro prossimo bisognoso a legittimi interessi personali, e, ove la fede lo richieda in modo inderogabile ed ultimativo, ad offrire la propria vita. Allora, per riprendere un’esortazione paolina, facciamo pure del nostro meglio per essere buoni cristiani, senza alterigia e senza alcun genere di sicumera, ma, sempre con la dovuta semplicità evangelica, non esitiamo a “guardarci dai cani”, dai “cattivi operai”, da quanti basano la loro vita su una fede puramente esteriore (Fil 3, 1-10) e priva di valore spirituale e religioso. Quei cani, quei cattivi operai, quei fasulli testimoni evangelici, peraltro, potremmo essere o diventare noi stessi.