La logica evangelica del perdono

Scritto da Francesco di Maria.

Il perdono costituisce un tema cruciale della fede cristiana. Chi ama Dio e il prossimo non può non amare implicitamente la verità e la giustizia perché l’amore, la carità e il perdono divini, sono ontologicamente e costitutivamente comprensivi della verità e della giustizia divine. Dio è verità e giustizia assolute e la sua misericordia non può che manifestarsi secondo le prescrizioni di tali verità e giustizia. La misericordia di Dio non è altro dalla verità e dalla giustizia di Dio ma è il sostrato, l’interna e caratteristica articolazione di questi due attributi divini tra loro indissolubili e interdipendenti. Dio è infinitamente buono ma lo è secondo il suo essere immutabile e perfetta verità, secondo il suo essere indefettibile e suprema giustizia. Dio ama il peccatore che è venuto a salvare nel segno della sua verità, della sua giustizia e della sua misericordia, ma odia il peccato, che è errore, iniquità e inumanità o malvagità, e causa di separazione tra la creatura e il Creatore.

Pertanto, le aspettative umane circa il perdono e la misericordia di Dio sono veritiere, legittime, solo nel quadro di una corretta comprensione della Parola di Dio e quindi della stessa identità biblico-teologica e spirituale dell’entità divina. Ove questa condizione non sia rispettata, esse non possono che risultare false, arbitrarie o inattendibili, con buona pace di tutti coloro che, anzichè sforzarsi di essere immagine di Dio, vorrebbero ritagliarsi un Dio a propria immagine e somiglianza.

Ora, Dio perdona sempre e perdona persino i peccati più immondi, ad eccezione di quello contro lo Spirito Santo. Chi dice e sostiene per tutta la vita che il Dio trinitario non esiste, pur non disponendo di alcuna prova oggettiva che possa dimostrare tale affermazione, pecca contro lo Spirito Santo che non fa mancare mai a nessuno almeno un soffio interiore di verità;  chi si oppone sistematicamente e pervicacemente alla misericordia divina e disconosce con sprezzante autosufficienza il giudizio finale di Dio, anche perchè appagato dalle sue abitudini di vita, da eventuali vizi o perversioni, da reiterate violazioni delle norme biblico-evangeliche, si rende egli stesso “imperdonabile” prima che la condanna divina finisca in realtà per ratificare il suo peccato contro lo Spirito Santo, benché, come notava san Tommaso d’Aquino, Dio stesso, in virtù della sua onnipotenza e della visceralità della sua misericordia, possa sempre trovare in modi prodigiosi, anche per i casi più disperati, una via di perdono e di guarigione spirituale.

Dio è sempre pronto a perdonare ma a condizione che ci si riconosca peccatori e si riconoscano poi concretamente i propri peccati, quelli che si commettono nella quotidianità del vivere; a condizione che ci si penta sinceramente e profondamente dei peccati commessi e ci si disponga onestamente a migliorare ogni volta la condotta di vita anche attraverso una intensa attività di preghiera e di partecipazione alla vita religiosa e sacramentale della Chiesa. O almeno attraverso un atto conclusivo di vita che testimoni chiaramente una ferma volontà di conversione a Dio e alla sua volontà. Ma, si potrebbe eccepire, se esiste una condizione allora non sarà proprio vero che il perdono divino sia incondizionato! E’ un ragionamento completamente falso e privo di logicità, perchè se il peccatore non si riconosce peccatore e non chiede con sincera contrizione interiore di essere perdonato, non si vede perchè mai dovrebbe essere perdonato. Chi non chiede perdono a Dio evidentemente non avverte il bisogno di essere perdonato da Dio, né avverte la necessità del suo amore e della sua grazia, per cui è del tutto logico, naturale, inevitabile che egli resti, persino sul finire della propria esistenza, privo di perdono.

La stessa dinamica di perdono sottende evangelicamente la relazione tra persona e persona, tra offeso e offensore, ed è anzi dal modo concreto di configurarsi di tale relazione tra determinati soggetti che dipende la possibilità stessa di ottenere o non ottenere il perdono divino. Qui non si sarà mai abbastanza insistenti nel sottolineare che, contrariamente a quanto in modo generico ed equivoco si continua a sostenere in tante omelie cattoliche, la misericordia di Dio si stende su coloro che lo temono, lo rispettano, lo adorano e lo invocano nella sua realtà in gran parte inaccessibile e misteriosa, benché la parte essenziale di essa ci sia stata “rivelata”, e non è affatto automatica, scontata, necessitata dalla stessa natura divina, perché se così fosse Dio non sarebbe libero ma semplicemente costretto ad agire in modo unilaterale.

La misericordia divina viene elargita solo a chi ne sente il bisogno e, volendo cambiare vita, la chiede insistentemente: il Padre accoglie tra le sue braccia misericordiose il figliol prodigo senza rimproverargli nulla ma solo perché quest’ultimo ha già deciso di tornare al Padre e di rimettersi a vivere con lui, così come il padrone condona al servo il suo debito ma solo perché quest’ultimo lo supplica di risparmiarlo insieme ai suoi familiari. E, per quanto i cattolici non siano molto aiutati a capirlo dai rappresentanti ministeriali di santa madre Chiesa, la stessa cosa deve avvenire in spirito evangelico nel rapporto tra fratelli di fede o tra esseri umani: bisogna, certo, essere sempre pronti a perdonare, anche se tale prontezza non è meccanica ma frutto di profondo doloroso e spesso prolungato travaglio, ma il perdono che la persona offesa deve concedere a chi l’abbia offesa dev’essere chiesta da quest’ultima e non per motivi di comodo o utilitaristici quanto esclusivamente in ragione di un pentimento sincero, incondizionato e privo di ambiguità.

La logica evangelica del perdono è molto chiara. Il cristiano, certo, deve sempre sperare e pregare che il suo aguzzino, o il suo nemico, il suo calunniatore o persecutore, trovino alla fine la forza e il coraggio di chiedere perdono alle loro vittime e di rimediare al male fatto nei limiti del possibile, ma egli, anche dinanzi alla più sentita richiesta di perdono, potrà perdonare pur sempre in proporzione dell’entità dell’offesa subìta e della capacità di perdono che Dio vorrà concedergli ascoltando le sue preghiere. Perdonare chi ti ha abbandonato nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, chi ti ha stuprato magari ripetutamente, chi ha massacrato i familiari, chi ha sterminato il tuo popolo o ha appeso su una croce il tuo Dio, solo per fare esempi storici concreti e spesso ricorrenti, non è un giochino da niente, un gesto o un atto umano che si possa compiere solo perché la tua fede e la tua comunità religiose ti esortino, magari con insulso spirito paternalistico ed ipocrita ed esibizionistica religiosità, a perdonare sempre e comunque. Dio offre i suoi consigli evangelici ma sa bene che non tutti hanno l’oggettiva possibilità di conformarsi ad essi secondo modalità standardizzate di adesione.

Perdonare si deve, d’altra parte, ma né sempre né comunque, anche se sempre e comunque mettendosi nelle mani di Dio per esserne il più possibile capaci: non per rivolta contro il vangelo ma in ossequio alla sua lettera e al suo spirito. Resta tuttavia il principio generale esemplarmente sintetizzato nel commento di sant’Agostino: «Se chi ti ha offeso e ha peccato contro di te, ti chiede perdono e tu dai il tuo perdono, puoi certamente dire senza timore: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Se non accogli la preghiera rivolta a te, non troverai accolta la tua preghiera; se chiudi a chi bussa, troverai chiusa la porta a cui busserai tu. Dio aprirà a te quando lo supplicherai, se tu avrai aperto con misericordia il tuo cuore a chi pregherà te. Mi rivolgo ora a chi chiede perdono ai suoi fratelli cristiani e non lo riceve. - Ripeto che solo chi lo concede può a sua volta pregare con tranquillità; non sarà così invece se uno si sarà comportato con durezza» (Discorsi, 386).

Il perdonare settanta volte sette, cioè sempre, presuppone che chi offende sia capace di chiedere perdono settanta volte sette, cioè tutte le volte che sbaglia, preoccupandosi naturalmente con parole e azioni adeguate di dimostrarsi umilmente contrito e realmente pentito. Sono decisamente in errore tutti coloro che sostengono l’unilateralità del gesto evangelico del perdono rischiando peraltro di trasformare precetti evangelici senza dubbio molto impegnativi in una presa in giro e di fatto in una sottovalutazione etica e spirituale della carica di peccato, di aggressività e di violenza che circola spesso impunemente nel mondo.

Certo, sono in errore tutti coloro che, a cominciare da buona parte di clero cattolico, tendono sempre a compatire chi subisce torti ma tendendo a minimizzare i torti subìti e a condannare quanti volta a volta si rendano responsabili di azioni inique e malvage salvo poi a massimizzare l’assoluta necessità di non far loro mancare il perdono. Sono in errore, non nel senso che, ove manchi la richiesta di perdono (la quale, peraltro, è doverosa da parte di chi sbaglia o pecca contro qualcuno a prescindere dall’eventualità di essere scusati o perdonati), non si possa fare a meno di odiare e tenere a debita distanza oppressori e mascalzoni di qualunque genere, giacchè un vero cristiano si sforza di pregare anche per nemici e persecutori affinchè possano cambiare vita, ma certamente nel senso che in tal caso il Signore terrà nel debito conto, con particolare benevolenza, tanto l’incapacità dell’offeso di perdonare o di perdonare intimamente in modo compiuto e definitivo, quanto, e con particolare severità, l’incapacità dell’offensore di chiedere umilmente perdono e di convertirsi a nuova vita.

D’altra parte, il vangelo, a differenza di una pessima pratica contemporanea di vita sociale, non fa obbligo a nessuno di rendere pubblico il perdono concesso o il perdono richiesto, sebbene l’uno e l’altro possano talvolta dedursi dai comportamenti successivi al vulnus tenuti dai protagonisti di una determinata vicenda conflittuale.  

Purtroppo sussiste il vezzo tipicamente cattolico, ma privo di qualsiasi fondamento evangelico, di guardare da una parte con occhio torvo a quei fratelli e a quelle sorelle non molto inclini a perdonare nelle forme appariscenti ed esaltanti così gradite alle folle e al mondo mediatico anche se si tratti di fratelli e sorelle rigorosamente e silenziosamente impegnati nella sequela di Cristo e nella pratica della giustizia e della carità, e di guardare dall’altra con solidarietà e quasi con simpatia a soggetti probabilmente segnati dalla sofferenza e dalla solitudine ma anche vittime di comportamenti reiteratamente errati, scellerati e persino delittuosi.

L’amore evangelico non si fonda semplicemente sul perdono, ma anche e in modo altrettanto significativo, sull’amore per la verità, per la giustizia, per una carità non formale, non ipocrita, né generica o equivoca, ma basata imprescindibilmente su un vigile spirito di verità e sul rispetto della giustizia divina (consistente nel rispetto di ciò che è gradito a Dio), spesso profondamente diversa da quella umana o ad essa antitetica.

Né si deve dimenticare che per amore si può e talvolta si deve anche rimproverare, ammonire, esortare, persino punire se da una condotta radicalmente immorale, iniqua, violenta, menzognera o dissoluta, possano derivarne conseguenze particolarmente dannose per gli altri, per una famiglia o una comunità religiosa, per la società o per lo Stato, oltre che per se stessi. Bisogna anche assumersi evangelicamente la responsabilità di educare i fratelli, di censurarne energicamente, e sia pure con senso della misura, pensieri e comportamenti sbagliati, di spronare la stessa comunità cristiana ad essere più fedele di quanto non riesca a fare agli insegnamenti evangelici.

Agostino, ben consapevole di come l’amore evangelico non avesse alcunché di mellifluo e carezzevole, giunge addirittura a scrivere che persino la persecuzione può essere esercitata per amore del prossimo e di Dio: «Se vogliamo riconoscere e proclamare la verità, v’è una persecuzione ingiusta inflitta dagli empi alla Chiesa di Cristo e v’è una persecuzione giusta inflitta agli empi dalle Chiese di Cristo … La Chiesa perseguita per amore, quelli per ferocia; questa per correggere, questi per distruggere …essi, ricambiando male per bene, poiché ci preoccupiamo per la loro vita eterna, tentano di toglierci anche quella temporale, … Come l’amore della Chiesa s’affanna a liberarli da tale perversione, affinché nessuno di essi vada incontro alla morte, così il loro furore s’affanna a uccidere noi per saziare la libidine della loro crudeltà o anche ad uccidere se stessi per non dar l’impressione d’aver perduto il potere d’uccidere gli uomini» (Lettera 185, 2, 11). Si dirà che erano altri tempi, ma in realtà era principalmente un’altra mentalità, un’altra spiritualità, un altro modo di concepire e percepire la fede in Cristo.

Nella parole evangeliche non si annida alcuna demagogia, alcuna preoccupazione per il politicamente corretto o per idee conformistiche di rispettabilità sociale, alcuna forma di falso o superficiale umanitarismo e di amore pseudocomunitario e pseudoreligioso. Il Cristo ha dato la vita per le moltitudini ma non ha mai detto che tutti si sarebbero salvati, anche se a nessuno di noi è dato sapere chi e quanti si salveranno. Ma soprattutto ha fatto di tutto per far comprendere che perdono e misericordia non sono altro dalla giustizia divina, di cui la giustizia umana riflette sia pure parzialmente e talvolta erroneamente o contraddittoriamente esigenze e valori che sono costitutivi della nostra stessa esistenza terrena. Esigenze e valori che la fedeltà al Signore impone di testimoniare non tiepidamente ma quanto più lucidamente e appassionatamente possibile, là dove, com’è noto, il testimoniare in e per Cristo comporta il predicare, il sostenere, sino al sacrificio della propria vita, verità scomode per molti e inquietanti persino per coloro che di quelle verità dovrebbero essere gelosi e incorruttibili custodi.

Il tutto per dire che nessuno, né papa né fraticello di campagna o di periferia né peccatore comune, può crearsi facili e false aspettative, volte magari a disimpegnarsi dal male e a cercare disinvolte pacificazioni ma non anche e soprattutto ad impegnarsi contro le molteplici forme di peccato e di male esistenti e radicate nel mondo, perché il perdono divino scende esclusivamente su quanti abbiano sufficiente e dolorosa consapevolezza dei peccati commessi contro Dio e contro gli uomini, ivi compresi i peccati di omissione e di inerzia spirituale, e nella divina misericordia confidino per ottenere perdono e salvezza eterna. E’ necessario che, contro le false ed autorevoli predicazioni di questo tempo e contro certo odierno cosmopolitismo globalista di molto dubbia origine evangelica in cui viene oggi smarrendosi l’identità cristiana, almeno i cattolici siano ben consapevoli che immensa è certamente la bontà del Signore ma soprattutto che, come recita anche il salmo 30, tale bontà «la riservi per coloro che ti temono, la dispensi, davanti ai figli dell’uomo, a chi in te si rifugia».

Ecco, costoro, per amore del Signore, si sforzeranno sempre di perdonare anche l’imperdonabile, benché il loro perdono non potrà cancellare eventuali responsabilità morali, civili, giudiziarie e pecuniarie, di quanti abbiano loro recato danno in misura più o meno accentuata: il perdono, che non può diventare oggetto di burla o di sollecitazioni umane di tipo ricattatorio, infatti, non può andare evangelicamente a detrimento della giustizia, che è un altro essenziale principio ispiratore della vita cristiana. Perdonare si deve, dunque, ma non da posizioni di debolezza o di inferiorità psicologica ed umana, bensì da posizioni di forza in Cristo e quindi con la consapevolezza che la sua presenza renderà sempre vittoriosi i suoi seguaci su qualunque sofferenza e avversità della vita terrena.