San Paolo e le donne tra ieri e oggi

Scritto da Francesco di Maria.

Che san Paolo sia stato misogino e antifemminista piuttosto che primo grande esponente cristiano della causa di emancipazione delle donne, è questione molto dibattuta tra opposte tifoserie ma in realtà non particolarmente rilevante sul piano spirituale e religioso. L’esegesi come l’ermeneutica hanno certo i loro diritti ed è bene che gli studi e i dibattiti su specifici e controversi testi paolini progrediscano per la gioia di studiosi, biblisti e teologi, ma, a mio parere, il pensiero dell’apostolo delle genti, anche per quanto riguarda la concezione della donna in genere nella famiglia, nella società e nella Chiesa, è sostanzialmente chiara, equilibrata, attendibile e, soprattutto, fedele al vangelo di Cristo, indipendentemente dal fatto che esso sia gradito o sgradito ai tanti e contrapposti campioni del pensiero contemporaneo e ritenuto in linea o in evidente contrasto con l’intelligente pensiero unico di questo tempo, che notoriamente è un pensiero pretenziosamente volto a legiferare, sentenziare, influenzare o condizionare, anche in relazione a problemi di fede e di vita spirituale e religiosa.

San Paolo ha di certo valorizzato la condizione femminile in un’epoca in cui le donne, insieme a vecchi e bambini, erano tenute ai margini della società. Persino in ambito ecclesiale egli riconosce alla donna non tanto il diritto, perché per le cose divine si danno solo doveri di amore spontaneo e responsabile, quanto la capacità e la funzione missionaria di predicare e diffondere il vangelo tra la gente e di organizzare la vita comunitaria di fratelli e sorelle credenti. Questo non gli impedisce, naturalmente, di esprimere talvolta su certi ambienti o gruppi femminili di cui sarebbe venuto a conoscenza nel quadro della sua predicazione apostolica e della sua opera evangelizzatrice, come ad esempio quelli di Corinto, alcune parole di rimprovero o critiche esortative volte pur sempre non già a demonizzare la donna in quanto tale ma a correggere o integrare condotte morali e spirituali di determinati soggetti femminili da lui ritenute difettose, imprudenti o controproducenti in seno alla comunità religiosa di appartenenza.

Quando esorta le donne di Corinto ad indossare il velo durante le funzioni religiose, a non parlare in pubblico, a trattare rispettosamente i propri mariti senza disdegnare con protervia i loro consigli e i loro giudizi, lo fa evidentemente perché consapevole o informato di fatti spiacevoli, di andazzi comportamentali discutibili e ambigui, di fenomeni di protagonismo spinto, di rivalità e prevaricazione, riguardanti per l’appunto il modo di parlare e di agire di un certo numero di donne sia all’interno delle proprie abitazioni, sia anche e soprattutto all’interno della loro comunità ecclesiale. Ma, a ben vedere, Paolo sarebbe stato ben più severo nei confronti di tanti uomini colpevoli a suo giudizio di non camminare nel solco della Parola di Dio o di tradirne gli insegnamenti con pensieri e azioni disdicevoli, sconvenienti, indecorosi. Egli, d’altra parte, non avrebbe mai avuto particolari riguardi, sul piano apostolico, per alcuna categoria di persone, dal momento che severi ammonimenti avrebbe rivolto a vescovi come a presbiteri, a diaconi come a schiavi, a insegnanti come a semplici inservienti. Donne e uomini, quindi, erano per Paolo risorse ugualmente importanti per la Chiesa di Cristo, a condizione che gli uni e le altre non deviassero dallo status evangelico annunciato da Gesù con l’offerta sacrificale della sua stessa vita.

Certo, nell’epoca odierna del “politicamente corretto”, egli probabilmente avrebbe avuto qualche difficoltà in più a parlare nel modo diretto e franco, privo di preamboli e giri di parole, di preoccupazioni tattiche e semantiche, in cui gli accadde di rivolgersi a uomini e donne del suo tempo, ma questo non significherebbe comunque che egli fosse propenso a discriminare tra uomini e donne o a peccare, addirittura, di misoginia, come purtroppo continuano ancora sostenere molti suoi interpreti di genere maschile e femminile. Per lui, tra uomo e donna non sussisteva un rapporto di superiorità o inferiorità, ma solo di diversità e di diversità funzionale, sebbene certo avventuroso femminismo dei giorni nostri con tutti gli importanti riflessi sociali e culturali che ne derivano, al solo sentir parlare di diversità tra uomo e donna, elevano insormontabili barricate non solo di difesa ma anche e soprattutto di attacco, a causa delle quali persino il più illuminato e tenace testimone di Cristo avverte talvolta la difficoltà di annunciare il vangelo con la dovuta franchezza.

Peraltro, non è affatto necessario scusare Paolo ricorrendo all’ipotesi che gli scritti in cui egli sembrerebbe dare manifestazione di misoginia e di scarsa stima per la donna sarebbero da ritenersi inautentici o manipolati da qualche suo discepolo o da esponenti di una realtà ecclesiale ed ecclesiastica ormai successiva alla sua, giacchè come è stato ampiamente dimostrato da diversi teologi, tra cui in particolare il compianto Claudio Basevi e il dotto presbitero Pino Pulcinelli, gli scritti paolini incriminati sono al contrario completamente originali ed autentici. Il problema è solo quello di interpretarli correttamente, senza pregiudizi o prevenzioni di sorta. Solo a questa condizione, è possibile capire come in realtà le parole talvolta dure e intransigenti dell’apostolo di Tarso per uomini e donne abbiano la funzione evangelica di richiamare i due sessi, nelle varie e concrete circostanze della loro vita, ad essere consapevoli dei rispettivi e fondamentali difetti cui possano soggiacere e da cui spesso derivano conseguenze interpersonali e sociali indesiderate e deleterie.

Come può, ad esempio, un uomo o una donna di buon senso non comprendere che certa violenza verbale maschile, specie se non sorretta da valide argomentazioni, e certa spiccata e specifica tendenza femminile alla chiacchiera, alla vanità e ad una malcelata volontà di riscatto e di competizione sociale e culturale, verso cui Paolo non di rado reagiva con toni bruschi e veementi, costituiscono fattori oltremodo destabilizzanti ai fini di un ordinato svolgimento della vita comunitaria, di una pacifica convivenza civile e soprattutto di una proficua e costruttiva vita ecclesiale?

Di fatto, però, l’uso arbitrario e arrogante della parola e del discorso, più ricorrente ma non unicamente ricorrente nel mondo maschile, come anche la chiacchiera indiscriminata, pretenziosa e sconsiderata, forse più frequente in quello femminile, proprio nel quadro di quella modernità attraverso cui per molti la donna sarebbe venuta riscattando la propria dignità e liberandosi da antichi vincoli di dipendenza dal sesso maschile, appaiono come tratti nettamente soverchianti la capacità e la volontà di uomini e donne di costruire una civiltà di valori vissuti e praticati, e non semplicemente pensati e propagandati, e, sul piano religioso, una comunione materiale e spirituale di esseri umani realmente perseguita con atti concreti e coerenti e non meramente e velleitariamente postulata. Ecco allora che quell’insistenza ciarliera della contemporaneità sulla problematica femminile — sulla donna in senso sociale e professionale, nella Bibbia e nella Chiesa, nello spettacolo e nello sport, e insomma in ogni pur minimo comparto dell’esistente — finisce per produrre un senso di artificiosità, di innaturale grevità umana e culturale oltre che psicologica, e il fondato sospetto che, anziché essere oggettivamente rilevante, la problematica femminile, a seconda che ad affrontarla sia un uomo o una donna, nasconda o indizi di colpevolezza maschile nei confronti delle donne o un complesso di inferiorità femminile rispetto all’essere maschile.

Per Paolo, ben al di fuori di preoccupazioni ideologiche e propagandistiche, era del tutto naturale valorizzare uomini e donne, anche o proprio nel senso sessuale di maschi e femmine, per tutte le qualità relazionali, comunicative, oblative, assistenziali, organizzative e missionarie che appartenevano costitutivamente alla loro natura di esseri umani, alla loro specifica struttura psico-sessuale e mentale, e che, sia pure in modi diversi, erano chiamati ad estrinsecare nel quadro delle loro occupazioni quotidiane. Per il cristiano Paolo erano, come in realtà oggettivamente sono a dispetto delle correnti concezioni pseudoscientifiche della sessualità e del rapporto tra i sessi, inesistenti o inconsistenti questioni postmoderne quali l’identità sessuale e la sua diversità dall’identità di genere, la negazione di un rapporto causale tra differenze sessuali e  differenze esistenziali, l’assoluta uguaglianza tra i sessi, dal momento che per lui tutti gli esseri umani, e a maggior ragione maschi e femmine, sono ad un tempo uguali e diversi: uguali per la loro identica natura umana e morale, diversi per i modi specifici di manifestarla e realizzarla. Il che implica altresì che le differenze sessuali tra maschi e femmine, pur non implicando alcuna differenza di valore ma solo una differenza funzionale, non possono essere considerate come ininfluenti sotto l’aspetto comportamentale: uomo e donna non sono né superiori né inferiori l’uno rispetto all’altro, ma complementari, per cui, se hanno bisogno reciprocamente l’uno dell’altra, è evidente la loro diversità, diversità relativa ma diversità, in ragione della quale sotto certi aspetti può risultare superiore l’uomo, sotto altri la donna.

Solo in quanto di ciò si sia consapevoli, ovvero del rapporto collaborativo tra diversi, si può poi ben comprendere l’affermazione paolina secondo cui “non c’è più maschio né femmina”, nel senso che, in un’ottica spirituale e mistica cristiana, uomo e donna, anche al di là dei loro specifici condizionamenti psichico-corporei e anzi proprio a ragione di essi, dispongono delle stesse opportunità, e anzi della medesima responsabilità, di collaborare validamente alla costruzione del Regno di Dio e di un’umanità più santa già in questo mondo terreno. Creaturalmente diversi per volontà di Dio, essi sono creati altresì perfettamente uguali quanto alla possibilità di glorificare Dio e di essere glorificati da Dio. E’ peraltro ovvio che ognuno possa stravolgere, per capriccio o per un presunto e il più delle volte inesistente bisogno esistenziale, la propria identità psichico-sessuale: ecco, in tal senso Paolo non sarebbe mai andato troppo per il sottile e avrebbe anzi picchiato duro su comportamenti e scelte non già di libertà ma di perversione e di aperta rivolta all’ordine divino, come nel caso di Corinto dove l’omosessualità e pratiche sessuali perverse suscitavano la particolare preoccupazione umana e apostolica di Paolo e la sua ferma condanna.

Che l’emancipazione femminile in atto sia il portato di complessi e travagliati processi storici di lotta, di cui molte donne di diversa estrazione sociale e differente orientamento culturale e religioso sono state spesso le principali protagoniste, è un dato oggettivo che non può essere misconosciuto; che tale emancipazione sia comprensiva solo di grandi conquiste giuridiche e sociali e di aspetti umani e civili altamente positivi, è invece molto meno certo, almeno per chi non è succube dell’imperante “politicamente corretto” e si sforza di vedere le cose del mondo con gli occhi innocenti di un bambino. D’altra parte, l’emancipazione femminile non è affatto, ad oggi, la manifestazione più importante e significativa del complessivo processo emancipativo dell’umanità: non lo è stato nei secoli passati quando interi popoli di donne e uomini dominati o colonizzati da potenze militari erano vittime di abusi e di privazioni di gran lunga peggiori di quelli imposti nel continente europeo dal maschilismo dominante a gruppi socialmente variegati e numericamente non trascurabili di donne, e non lo è nel tempo presente in cui non è raro vedere donne non particolarmente capaci e meritevoli in forte ascesa economica e sociale e ben assestate su posizioni di privilegio, di potere, di riconoscimento professionale o scientifico-culturale, sia rispetto ad altre donne prive di adeguata ma lecita “protezione”, sia rispetto ad un universo maschile emarginato anche se nient’affatto arruffone e sbarazzino.

Per contro, è molto difficile negare che l’emancipazione femminile porti con sé un carico assai vistoso e per niente prezioso di presunzione, ostentazione, vanità, narcisismo, protagonismo, trasgressività, che erano probabilmente difetti e vizi che già Paolo intravedeva al suo tempo fra le donne di Corinto e che, in vero, nulla avevano né hanno da spartire con un’emancipazione di natura etico-valoriale e non segnata da criteri meramente utilitaristici ed edonistici,  sebbene nell’evidenziarlo ci si esponga alla inevitabile condanna di femministe, laici modernisti e postmodernisti, teorici di una morale e di una fede religiosa “liquide”, di scettici e relativisti non di rado presenti tra gli stessi cattolici.

Paolo lavorava per la diffusione del vangelo di Cristo, per l’evangelizzazione dei popoli e di tutte le creature della terra, e il processo di emancipazione che aveva in mente per tutta l’umanità doveva essere basato su una fede solida e attenta a tutte le insidie e le tentazioni del mondo, su una preghiera quanto più sincera e corale possibile e su stili di vita quanto più possibile sobri, ordinati e rispettosi dei precetti evangelici. E, in tal senso, davvero tante sarebbero state le donne da lui esaltate anche nel quadro di attività ecclesiali molto impegnative sotto l’aspetto direttivo e organizzativo; molte le donne, beninteso laiche, attive, operose e dinamiche, nel solco tracciato da Maria di Nazaret, che egli avrebbe considerato entusiasticamente come vere e proprie apostole di annuncio e di fede evangelico-cristiani. Questa era l’emancipazione cara a Paolo, non quella ancora acerba e spesso decadente di cui va a torto fiera l’umanità contemporanea.

Paolo non è né maschilista, né femminista, né misogino né misantropo, né conformista né indiscriminatamente polemico verso i costumi del tempo. Le sue critiche, le sue polemiche, derivano da una razionalità rigorosa e illuminata dalla fede e non sono condizionate dall’appartenenza a qualche potentato mondano ma unicamente dall’adesione incondizionata al Verbo divino. Per questo egli, al pari di ogni vero soldato di Cristo armato di spada evangelica, avrebbe molto unito ma anche molto diviso i cuori di molti,  sarebbe stato molto ascoltato e amato e al tempo stesso molto avversato e disprezzato. San Paolo è un prototipo di “politicamente scorretto” in un esemplare rapporto di fedeltà a Cristo e resta, oggi più che mai, per noi cattolici un modello di testimonianza religiosa non da accantonare ma da valorizzare e imitare.