La disobbedienza come obbedienza a Dio

Scritto da Francesco di Maria.

Obbedire per i cattolici significa obbedire a Dio prima che agli uomini anche se gli uomini siano presbiteri, vescovi o papi. Si deve obbedienza cieca solo alla Parola di Dio, correttamente intesa e interpretata: quante volte Gesù dice ai discepoli, un po’ preoccupato: state attenti a come ascoltate! E, naturalmente, si deve obbedienza ai suoi ministri solo se o quando la loro parola sia un fedele riflesso della parola divina. Più in generale, si deve obbedienza a chiunque, anche al di fuori del sacerdozio e della vita consacrata, esprima giudizi, moniti, esortazioni assolutamente veritieri e conformi alla divina volontà. Non mi pare che dai racconti evangelici sia possibile ricavare, evincere o dedurre indicazioni o posizioni interpretative diverse da quella appena enunciata. Si deve, certo, obbedienza all’autorità, a quella civile come a quella religiosa, nei limiti in cui, nell’uno come nell’altro caso, non si tratti di obbedire a leggi o provvedimenti manifestamente contrari alle leggi di Dio, per cui obbedienza e disciplina non possono mai essere intese evangelicamente in senso assoluto se non unicamente in relazione ai contenuti originari e costitutivi degli insegnamenti divini.

L’obbedienza non è solo il voto cui devono sottostare i religiosi ma è innanzitutto una virtù morale, nel senso che è una specie di habitus mentale e spirituale della persona ad eseguire prontamente le disposizioni o gli ordini dei propri superiori nei vari ambiti in cui essa si trovi ad operare. Ma, come detto, il presupposto che la rende valida e vincolante è che essa sia esercitata correttamente in ossequio al suo fondamento e principio sovrannaturale. Si è, simmetricamente, disobbedienti, tutte le volte che obbedendo, non per umiltà e carità ma per semplice debolezza, paura o viltà, alla parola e al volere degli uomini, si finisca per fare cosa non gradita al Signore.

Si tratta dunque di una questione molto delicata, che non può essere trattata con superficialità ed intenti strumentali, come purtroppo spesso avviene nei posti di lavoro come nella stessa Chiesa di Cristo, ma con prudenza e grande senso di responsabilità. Non è un caso che Tommaso, ben consapevole di quanto il valore dell’obbedienza sia soggetto a possibili usi strumentali e deteriori, abbia saggiamente escluso che essa sia dovuta sempre e comunque, e quindi in modo indiscriminato, ai propri “superiori”. L’obbedienza ai superiori è dovuta solo in quanto attraverso la loro volontà possa venire manifestandosi la volontà stessa di Dio, e non a prescindere da quest’ultima. Tutto ciò che, di fatto, sia comandato a disonore della divina volontà e per il danno delle anime, non solo non merita alcuna obbedienza ma reclama l’umile e ferma anche se non violenta disobbedienza del vero credente.

Si deve obbedienza su cose lecite e non illecite, su cose quanto meno non incontrovertibilmente inique e disumane, né si può sperare di essere a posto con la coscienza se o quando, cedendo ad ordini manifestamente ingiusti, si ritenga di poter addurre a propria difesa l’obbligo morale di aver dovuto eseguire l’ordine di un proprio superiore, perchè per ordini immorali non si possono dare obblighi di coscienza o spirituali di nessun genere. Se si tratti di obbedire a qualcosa di peccaminoso o di nocivo alla vita spirituale di singoli o di un’intera comunità, non sussiste alcun dovere di obbedienza ma piuttosto il dovere di disobbedienza.

Naturalmente, per disobbedire in senso evangelico, è necessario essere o sentirsi certi della veridicità, della fondatezza spirituale ed evangelica delle ragioni che inducano a disobbedire, per cui in molti casi è esclusivamente di fronte a Dio che bisogna assumersi la responsabilità dei propri atti di insubordinazione: ciò che, peraltro, non può essere evitato tutte le volte che invece si decide di obbedire passivamente, anche se sotto l’approvazione ecclesiastica o sociale, a superiori e autorità di varia entità e natura. E’ stato giustamente osservato che «i martiri non obbedivano alle autorità dello Stato che imponevano loro di incensare gli idoli. E neppure ai genitori, ai figli, ai mariti e alle mogli, che chiedevano loro di fuggire il martirio in nome del bene familiare». Dunque, è evangelicamente non solo lecito ma necessario disobbedire se, nel disobbedire a norme e a esortazioni manifestamente ingiuste, altro non si faccia che obbedire a Dio. Per obbedienza a Dio, purchè si abbiano buoni motivi di ritenere che la volontà di obbedire a Dio non sia un semplice travestimento di una volontà soggettiva di obbedire solo a se stessi, si può e si deve disobbedire: costi quel che costi! Dove però l’apparente disobbedienza si configura, in tal caso, come forma ancora più perfetta di obbedienza.

La disobbedienza, tuttavia, dev’essere sempre mossa da un sentimento di carità cristiana, dev’essere mite e benevola anche quando debba essere espressa in modi alquanto energici tanto per il bene di colui, si tratti pure di un vescovo o del papa stesso, che emana direttive dottrinarie o pastorali manifestamente difformi dalla retta fede evangelica, quanto per il bene dell’intera comunità cattolica. In altri termini, qui la disobbedienza prende la forma di quella correzione fraterna che, per il cristiano, non è una semplice opportunità di cooperare al bene della Chiesa ma un vero e proprio dovere che ogni battezzato ha il dovere di esercitare, se ne abbia la necessaria competenza, persino nei confronti dei suoi superiori gerarchici: al punto che i suoi eventuali rilievi, le sue critiche possano essere dirette alla stessa persona del pontefice in carica nel caso in cui questi incorra, in buona o cattiva fede, nel peccato di eresia. Come infatti prescrive anche sul piano giuridico il primo grande canonista cattolico, Graziano, il papa non può essere giudicato da nessuno se non nel caso in cui sia possibile dimostrare che egli stia deviando dalla retta fede. Solo in una circostanza così rara e deprecabile il seguace di Gesù può sentirsi autorizzato, senza correre il rischio di uscire dalla Chiesa, a disobbedire e ad opporre la sua umile ma tenace resistenza ad atti e comportamenti palesemente lesivi dell’autorevolezza e della inviolabile dignità della Parola stessa di Dio. Disobbedire per obbedire ancor più fedelmente alla volontà del Signore è, talvolta, non solo possibile ma necessario. Anche la disobbedienza per amore ha un prezzo, ma il prezzo è quello che sarà fissato da Dio, non dagli uomini.