Quale eucaristia?

Scritto da Filippo Migliarino on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Su Internet recentemente mi è venuto sotto gli occhi un vecchio ma ancora interessante documento (del 2004) del movimento religioso “Noi siamo Chiesa”, intitolato “Discernimento ecclesiale sull’Eucaristia”. Esso verte sull’eucaristia e sulla necessità di «non attenuarne alcuna dimensione o esigenza» secondo quanto raccomanda l’enciclica “Ecclesia de Eucharistia” di Giovanni Paolo II. Sullo sfondo di questa riflessione figurano tre domande essenziali: 1. se l’Eucaristia-Messa sia vissuta in modo adeguato; 2. se siano significativi gli effetti prodotti da questo evento liturgico nella vita delle persone; 3. cosa bisognerebbe fare per migliorare l’approccio spirituale a questo sacramento fondamentale.

Gli autori del documento danno prova di buona cultura religiosa, procedono ad osservazioni spesso efficaci, anche se peccano, a mio avviso, di un oltranzismo (più che di rigorismo) interpretativo che rischia di ridurre la forza d’incidenza del documento stesso. Essi ricordano preliminarmente che la fede non serve se non produce fatti significativi e più esattamente se non è fondata sulla pratica della giustizia e dell’amore, e che l’eucaristia (come ammonisce san Paolo in 1 Cor 11, 18) non può essere celebrata se nella comunità sussistano rivalità o ingiustizie e se in essa non vi è la predisposizione a condividere anche i beni materiali (come raccomanda At 4, 32, 35) essendo ciò direttamente implicato dalla condivisione del corpo di Cristo. Si chiedono poi se e fino a che punto i fedeli siano capaci di diventare un solo corpo in Cristo più che di riflettere “sulla presenza reale di Cristo”, e quindi di amarsi, stimarsi, correggersi, salutarsi, confortarsi, perdonarsi e accogliersi vicendevolmente, dove viene esplicitato persino un riferimento alla necessità che i cristiani entrino in sintonia anche teologicamente con i fratelli delle altre Chiese cristiane e non cattoliche. Dove, in particolare per quanto riguarda quest’ultimo punto, non manca una evidente forzatura interpretativa dell’invito di Cristo alla riconciliazione. Ma anche quella sottovalutazione del grado di consapevolezza relativo alla reale presenza di Cristo nell’atto eucaristico, non pare essere difetto di poco conto se è vero come è vero che proprio la profondità della nostra capacità di comprendere quella reale e non meramente simbolica presenza di Cristo è ciò che condiziona la capacità stessa di mettere in movimento nel miglior modo possibile i meccanismi spirituali della carità e dell’amore reciproco. Cosí come d’altra parte la celebrazione eucaristica è valida ed efficace per tutti quei membri della comunità che, ognuno secondo la propria capacità e sensibilità, fanno davvero del loro meglio, anche se inascoltati o non considerati, per attuare tutti i precetti evangelici sopra ricordati.

E’ evidente che chi non condivide interiormente il Magnificat di Maria non è nella condizione di condividere Cristo, il suo vangelo e la sua vita, il suo corpo e il suo spirito, ma ciò non implica che, per celebrare correttamente l’Eucaristia, si debba fare programmaticamente piazza pulita di tutti coloro che non avessero ancora raggiunto un grado adeguato di consapevolezza religiosa, pur eventualmente trattandosi di persone istruite e non prive di dottrina. All’ultima cena, durante la quale Gesù istituì la santissima Eucaristia, non mancava la persona scorretta, pronta al tradimento, ma il Signore non lo cacciò e lasciò che fosse lui stesso a regolare il conto con la propria coscienza. E cosí, a maggior ragione, dobbiamo fare noi, anche perché chi può dire di essere completamente degno di partecipare alla cena eucaristica? I massimalismi non aiutano in nessun senso, anche se le esigenze di comprensione e pacificazione reciproche poste da Gesù erano e restano radicali e quanti sono in grado di corrispondervi al meglio sono da lui benedetti.   

Analogo discorso si deve fare là dove gli autori del documento si chiedono se colui che presiede l’assemblea eucaristica sia pronto a servire la comunità non meno della Parola. Degno o indegno che sia, resta legittima la sua funzione che è quella di rendere possibile il ritrovarsi dei fedeli attorno alla tavola eucaristica per ringraziare il Signore della sua opera di redenzione e offrirsi a lui come strumenti della sua volontà. Sarebbe certo auspicabile che la transustanziazione coincidesse con un cambiamento qualitativo del fedele come del celebrante facendoli diventare sempre più “espressione vivente di un nuovo e concreto ordine di pace e di giustizia”: ciò è un obiettivo che occorre sicuramente perseguire con la preghiera e con l’aiuto di Dio, e certamente ognuno di noi risponderà al momento opportuno davanti a Dio del modo in cui si sarà adoperato per il suo effettivo perseguimento.